giovedì 8 novembre 2012

Lisboa


Nelle 36 ore che ho passato a Lisbona ho arricchito il mio vocabolario portoghese di nuovi termini: "juros" (tassi d'interesse), "orçamento" (budget), "poupar" (risparmiare). In Portogallo la crisi (che qui si chiama crise), non solo si vede, ma si respira e si beve con il primo cafezinho da manhá. I ristoranti sono semivuoti e i negozi ti propongono sconti vertiginosi su prezzi già sufficientemente bassi, a volte quasi ridicoli. I giornali e telegiornali non parlano d'altro e ad ogni angolo di strada c'é un cartello elettorale o un poster di qualche partito d'opposizione che denuncia la crisi (un po' come urlare contro la pioggia invece di cercare un ombrello). La scritta "greve geral" (sciopero generale) appare un po' ovunque, seguita da una data. Ma la data non é mai la stessa e non capisco se lo sciopero del 14 novembre si riferisce al 2012, 2011 o 2010.
Comunque sia, quest'aria mesta di recessione sembra quasi naturale in questa città, già un po' melanconica di suo, abituata al declino (quello economico è in corso da 4 secoli, anno più anno meno). Se la ricchezza genera fasto architettonico, il tempo e la povertà portano fascino e bellezza. Questo sembra spiegare il potere ammaliante dei vicoli che si inerpicano tra muri scrostati e splendidi azulejos, trafitti da binari arrugginiti su cui sferragliano tram traballanti che sembrano accasciarsi ad ogni curva. Si avrebbe voglia di affittare ogni casa con il carello aluga-se e di comprare ogni soffitta con il cartello vende-se (e per chi cercasse un affare immobiliare i cartelli non si contano). Ci si può immaginare senza problemi a passare il resto della propria vita a mangiare bacalhau in una taverna con quattro o cinque tavoli ad ascoltare il vicino fare un'analisi dettagliata delle potenzialità di ogni squadra portoghese (ne ho trovato uno che avrebbe fatto impallidire il 'Tennico' del Bar Sport di Benni). Sarebbe il sogno di chiunque, in particolar modo di quei pompieri portoghesi a cui un anagramma governativo ha abbassato lo stipendio da 750 a 570 euro. Stanno tutti cercando di fare come me: andare a lavorare in Svizzera, dove tutto funziona a perfezione, ma la parola fascino non sarà mai associata ad un angolo di strada.

lunedì 5 novembre 2012

Bissau


Ci sono luoghi in cui la costruzione finisce ed inizia la distruzione. Si tratta in genere di un processo progressivo, lento e inarrestabile. Uno di questi luoghi è Bissau, sulla costa occidentale dell'Africa, ex-colonia portoghese e in quanto tale vittima di una colonizzazione ottusa e anacronistica e di una decolonizzazione troppo rapida e immediata. Bissau è una città che ad ogni angolo fa intravedere il suo passato, senza far trasparire nulla del suo futuro. Ci sono solo vecchi edifici che resistono a fatica all'incedere del tempo, mentre tutto il resto - le strade, i marciapiedi, i lampioni - ha alzato bandiera bianca e si è rassegnato a farsi coprire da uno spesso strato di terra rossa e bellissima, che nella stagione delle piogge (cioè più di metà dell'anno) diventa fango rosso e bellissimo, almeno se non ci si deve camminare sopra.
La Guinea Bissau è la testimonianza vivente che quando l'umanità riuscirà nell'impresa di autodistruggersi, la natura prenderà il sopravvento e cancellerà ogni traccia di urbanizzazione, ad una velocità che sorprenderà gli stessi alberi.
Nonostante l'abbandono e la crisi politica, ovvero l'ultimo di una lunga serie di colpi di stato che si succedono con la stessa cadenza della stagione delle piogge, Bissau è veramente bella. Bella come la terra rossa o il fango rosso, bella come i suoi mercati di poche ed esenziali oggetti, primo tra tutti le torce per sopperire alla mancanza di elettricità. Bello come i tessuti ancora prodotti a mano oppure come le donne che camminano ancora più dritte e con ancora più peso sulla testa che nel resto d'Africa. Bissau è anche buona e ti serve nel piatto gamberoni grandi come aragoste e pezzi di barracuda che sembrano mattoni, oltre che varie prelibatezze portoghesi fatte di pezzi di maiale, fave e patate, forse adatte all'inverno atlantico, ma un po' meno al clima tropicale.
Partire è sempre un po' morire, ma partire da Bissau è un vero e proprio incubo. Per entrre all'aeroporto bisogna fare a spallate e una volta dentro bisogna fare una fila a caso tra il check in che dice Royal Air Maroc, Air Senegal o TAP. In realtà non conta quale si sceglie perchè c'è praticamente solo un volo per volta e spesso, più semplicemente, solo un volo per giorno.