domenica 18 marzo 2012

Un passaporto a Parigi

Dopo essere passato indenne per alcuni dei posti più pericolosi al mondo senza il minimo problema, sono riuscito nell'impresa titanica di farmi rubare lo zaino nella metropolitana di Parigi, mentre ero di passaggio per andare in Guinea Conakri.
Ho avuto quindi il piacere di andare al commissariato di polizia del quattordicesimo arrondissement a Montparnasse. Se non ci siete mai stati andateci subito! Fin dall'entrata (seminascosta, i vetri della porta lerci, il corridoio semibuio ed angusto) si capisce che il posto è un condensato di burocrazia statalista allo stato puro. Invece dei poliziotti in giubbotto di pelle dei film, ci si trova di fronte ad una receptionist annoiata, che ti indica un secondo corridoio ed una sala d'attesa che è stata rinnovata nel primo dopoguerra: sedie scassate, poster stinti, vecchie riviste. Ci sono altre quattro persone nella stanza. Sono lì da tanto tempo che sembrano coperti di polvere. In giro non c'è nessuno, tranne una poliziotta che tenta di dissuadere tutti dallo sporgere denuncia dicendo che i tempi d'attesa sono lunghissimi. Scopro che è la pausa pranzo e che sono tutti via. Sembra di essere in Italia.
Quando arrivano le due, chiamano il mio nome e vengo fatto passare in una stanza spoglia, con le tende mezzo strappate. Di fronte a me c'è un poliziotto che sembra molto interessato al mio lavoro e alla localizzazione della Guinea Conakri, ma non abbastanza al fatto che il mio zaino è stato rubato e con esso il mio passaporto. Per scrivere la denuncia usando un programma con grafica d'altri tempi usa due delle dieci dita che possiede. Prima di poter usare uno dei venti timbri disposti sulla scrivania vuota ci mette una buona mezz'ora di filosofia spiccia.
Uscito dal commissariato chiamo il numero d'urgenza del consolato italiano. Non risponde nessuno per cui lascio un messaggio. Oggi è sabato e non ho alcuna speranza che qualcuno lo ascolti prima di lunedì. Invece poco dopo mi richiama qualcuno dall'oltretomba: ha la voce così roca che l'odore di fumo si trasmette per telefono. Mi dice che posso andare il linedì, ma che il consolato di Zurigo è chiuso per cui bisognerà aspettare il martedì, in compenso la questura di Treviso è efficiente per cui da quel lato non dovrebbero esserci problemi. Pochi attimi dopo che mette giù vengo richiamato da un altro funzionario del consolato, che questa volta mi chiede tutti i dati e mi dice di passare verso le 8.30 prima che l'ufficio apra. Lui si occupa di matrimoni e non sa niente di passaporti, ma ha l'aria molto gentile, cosa rarissima tra i funzionari consulari.
Il lunedì mattina mi presento al consolato italiano munito di un enorme libro di un autore giapponese, il meglio che ci sia in fatto di lunghe attese burocratiche. Scopro che l'uomo dalla voce roca è il portinaio del consolato, che scuote la testa quando gli dico che mi è stato detto di arrivare a quell'ora. Mi ripete che non c'è niente da fare perchè il consolato di Zurigo è chiuso, ma mi fa entrare lo stesso. La sala d'attesa è vuota, le luci sono spente. Dopo poco arrivato degli impiegati che fanno una conversazione molto animata attorno alla macchina del caffé. Uno viene verso di me e si presenta. E' quello che si occupa di matrimoni. Con una gentilezza fuori dal comune mi spiega che parlerà con i colleghi per vedere cosa si può fare.
La collega che si occuperà del mio caso non sembra conoscere la funzionalità sociale del sorriso. Scuote la testa, ma accetta comunque di prendere una copia della mia denuncia e le mie foto. Inizia la pratica del nulla osta a Treviso e di quello a Zurigo. Le chiedo se può chiamare il consolato e la questura e lei mi risponde "guardi che possiamo fare non lo può fare lei". La ringrazio e chiamo il consolato di Zurigo. Nessuna risposta. Provo con il numero d'emergenza e, dopo vari secondi, risponde una voce assonnata che mi informa che il consolato è chiuso il lunedì. Certo, penso io, che ci sarà poco  lavoro in una città dove ci sono solo 15,000 italiani.
Informo la mia gentile funzionaria del problema rilevato e lei scuote la testa. "Non c'è niente da fare" sentenzia "bisogna aspettare martedì". Le chiedo di poter parlare con il suo superiore che mi dà udienza in un angolo della sala d'aspetto tra la signora che aspetta il passaporto del figlioletto e il signore che ha divorziato dalla moglie. Il superiore mi promette che parlerà con Zurigo per vedere cosa si può fare. Dopo poco la solita impiegata mi richiama per dirmi che Zurigo è chiuso e che quindi non si può fare nulla. Anche la superiore del superiore, a cui faccio la scena del disperato sull'orlo del suicidio, conferma l'impossibilità di fare il passaporto causa mancanza del nulla osta.
Dopo molto parlamentare riesco ad avere assicurazione che il martedì avrò il mio passaporto se Zurigo mantiene la promessa del nulla osta e Treviso risponde. Chiamo la questura di Treviso che mi informa che ha già trattato la richiesta.
Il martedì ho il mio passaporto. Non so se chiamarlo un miracolo o meno. Fatto sta che il portiere sembra sapere molto di più del resto degli impiegati.