lunedì 24 marzo 2014

In vetta


C'è un rituale inderogabile se si va in montagna con un gruppo di svizzeri. Quando si arriva alla cima - che sia con sci e pelli, corda e ramponi o semplicemente camminando - inizia la lunga lista dei picchi che compongono il paesaggio. C'è di solito l'esperto assoluto che sembra studiare nomi e posizione topografica giorno e notte e riconosce le montagne da ogni angolo. E si procede come in una cantilena: Sustenhorn, Tschingelhorn, Urirotstock, Piz Kelsch, Titlis, Matterhorn, Eigis, Jungfrau, Rigi, etcetera, etcetera.
Devo ammettere che, nonostante i miei sforzi, non ne riconosco mai una. Le montagne cambiano totalmente aspetto se le si vede da prospettive diverse, con o senza neve, con o senza il sole.
Ma la cantilena non si fa tanto per sfoggio di competenze. La cantilena è una canzone d'amore. Ogni parola nasconde una storia individuale e ogni montagna ha la sua personalità, come se si trattasse di persone. E arrivare alla cima non è un atto di conquista, quanto piuttosto un modo per onorare vecchi saggi che ti circondano a perdita d'occhio.

lunedì 17 marzo 2014

La casa di Heidi


Sul sentiero panoramico di Mostelberg, tra pascoli ancora coperti da neve marzolina e coppie di anziani che fanno una passeggiata, si arriva ad un maso in cui si produce formaggio.
Il "negozio" è un armadio con fette di formaggio imballate ed etichettate con il prezzo. La cassa è un buco nel muro in cui mettere i soldi. Mentre infilo i miei sei franchi nella fessura penso a cosa succederebbe a quel formaggio in Italia. La gente pagherebbe? Lo ruberebbe? Si sentirebbe in colpa? Tornerebbe indietro a pagare? Non riesco a darmi una risposta.
Quello che so di certo è che il formaggiaio svizzero pagherà le tasse su quei sei franchi che gli ho lasciato, IVA e IRPEF, pur senza aver rilasciato scontrino.

lunedì 10 marzo 2014

Emigrante

Nonostante un po' di trucco - cambio di piano, cartelli nuovi ed un vigilantes al posto dello scontroso carabiniere - il Consolato Italiano di Zurigo non è cambiato di molto. Al posto della code c'è un biglietto, ma il numero che ottengo è di trenta cifre superiore a quello mostrato dallo schermo. Ci vuole poco per capire che si è lasciato il territorio svizzero per entrare in zona nemica: la temibile amministrazione pubblica italiana.
Durante le due ore di attesa non mi resta che ascoltare la conversazione dei vicini, che parlano una strana lingua, composta in parti esattamente uguali di dialetto napoletano degli anni settanta e di svizzero tedesco attuale. Il tema è presto identificato: l'inefficienza italiana comparata all'efficienza svizzera. Ma non si tratta di lamentele di emigranti annoiati, quanto piuttosto di una precisa analisi sociologica sulle due culture, in particolare il rispetto delle regole. I due prendono ad esempio i limiti di velocità e la tolleranza zero della polizia Svizzera (+ 3 Km/h per un limite dei 50) rispetto all'Italia (dove sembra che basti conoscere qualcuno per farsi cancellare le multe). Se da un lato si nota un senso di insofferenza per la rigidità locale, è chiaro che si rinfaccia all'Italia la sua faciloneria. Risulta che da un punto di vista personale è chiaramente preferibile un sistema che ti permetta di evitare di pagare per le tue responsabilità, ma il vantaggio collettivo è senza dubbio superiore quando c'è assoluto rispetto della legalità. I due, in età da pensione, non sembrano avere nessuna intenzione di tornare in Italia. Piccole banalità da sala d'aspetto che nascondono una verità evidente quanto sfuggente.
Quando arriva il mio turno è quasi ora di chiusura. La pingue impiegata con accento rigorosamente romano sembra confermare tutti i pregiudizi accumulati in anni di frequentazione con gli uffici del ministero degli esteri italiano. Mi informa che ci vorrà un mese per ottenere il passaporto, ma che pagando 50 franchi + 1 di spedizione postale lo potrò avere in 24 ore. Il servizio svizzero esiste anche in Italia, basta aspettare e pagare.