lunedì 17 dicembre 2012

Comores



La bandiera delle Comores ha quattro stelle, ma le isole che compongono il piccolo stato insulare in mezzo all’oceano indiano sono tre. La quarta è Mayotte. Quando la Francia diede il diritto di scegliere tra l’indipendenza e diventare un DOM (domaine d’outre mer), tre delle quattro isole votarono per l'indipendenza, mentre Mayotte votò per restare territorio francese. A distanza di trent’anni, i figli di coloro che votarono sì fanno carte false per immigrare a Mayotte o in Francia continentale, legalmente o illegalmente.
Tutte le isole dell’oceano indiano sono destinazioni turistiche da sogno: Seychelles, Mauritius, la Reuniòn. Solo le Comores sono sconosciute ai tour operators e ai turisti indipendenti. Il perché non è chiaro, visto che il mare è lo stesso ed il clima anche. Per di più alle Comores un’aragosta costa come una birra alle Seychelles. Misteri del turismo di massa. E’ chiaro che dopo il mio passaggio ci sono molte meno aragoste nel mare.
Quando si prende un volo per le isole, è bene avere una fede molto radicata in dio o nelle forze soprannaturali che soprassedono all’aviazione civile. Poco prima della mia visita un aereo ha gentilmente ammarato poco dopo il decollo a causa di un motore che si è scoperchiato. Nessun morto e nessuno ferito. Ho anche incontrato uno dei superstiti che si è fatto quaranta minuti a nuoto per tornare a riva senza giubbotto salvagente. Mi sono dimenticato di chiedergli che fine ha fatto l’aereo. Mi sono sempre chiesto cosa se ne fa di un aereo parcheggiato sul mare.
Il dio dell’aviazione mi ha assistito al ritorno per Zurigo. Il check in del volo Kenya Airways era già chiuso quando siamo arrivati in aeroporto. Mancavano ancora due ore al volo. Con noi una quindicina di passeggeri che tentavano di districarsi tra la massa di gente in partenza, i parenti all’attesa degli arrivi e curiosi vari che vanno all’aeroporto per passare il tempo. Dopo vario parlamentare si è capito che, visto che l’aeroporto è piccolo, ogni compagnia ha delle fasce orarie per fare il check in. Quella della Kenya era dalle 9 alle 12. Il volo partiva alle 14. E’ toccato parlare con il direttore dell’aeroporto che ha fatto il piccolo miracolo. Benedetti dal nostro intervento risolutore sono stati anche il resto dei viaggiatori, che in caso contrario sarebbero rimasti un paio di giorni in attesa del prossimo aereo.

sabato 8 dicembre 2012

Nella tana dei lupi


La strada che porta in città è una lunga linea retta che taglia in due un’immensa risiera in cui spuntano qua e là, come funghi, delle case di mattoni rossi. La strada è stretta e ogni tanto bisogna zigzagare tra biciclette, motorini e gli onnipresenti taxi-brousse, i furgoncini del trasporto pubblico. A prima vista si penserebbe di essere in Vietnam o in Cambogia. Questa è Africa ma – come tutte le isole – è un continente a parte, un misto di Asia, Africa, Arabia ed Europa. Si chiama Madagascar.
Antananarivo, per gli amici Tana, è una capitale africana atipica. Non ci sono gli orrendi palazzi anni settanta, né la polvere (o il fango quando piove). Non fa caldo e soprattutto c’è acqua dappertutto, dentro e fuori dalla città.
Lasciando alle spalle le risiere e le collinette di argilla fumante che si trasformerà in mattoni, si entra in Francia. Gli Champs Elisés sono un viale alberato attraversato da un piccolo fiume che porta alla stazione centrale, dove si può bere qualcosa al Café de la Gare. Se si ha fame si può pranzare su una terrazza con vista sulla città in una delle tante case coloniali con tetto spiovente. Il Madagascar è uno dei paesi più poveri del mondo ma a Tana si mangia meglio che a Parigi: carne, pesce, aragoste, fois gras, maigret de canard. C’è tutto, per chi può pagarselo s'intende. I paesi poveri sono una manna per chi è ricco.
Come in tutte le favole, anche qui c’è il lupo cattivo, o meglio ce ne sono molti; tanti quanti i presidenti ed ex-presidenti ancora in vita. Il Madagascar è come l’Italia, il potere non lo si lascia mai, o almeno il desiderio di averlo o riaverlo. Il risultato è una transizione eterna, in cui il conflitto tra i soliti due contendenti gela il passare del tempo in attesa che uno dei due molli l’osso. Nel frattempo gli aiuti internazionali sono al minimo, nessuno si azzarda ad investire e tutta la ricchezza (e la povertà) si concentra nella capitale, dove si trova il 90% dei soldi. Tutti qui - senza eccezione - scuotono la testa pensando cosa potrebbe essere in Madagascar se fosse amministrato bene. Un giorno arriverà un terzo contendente che prima o poi godrà: la versione politica del ciclo delle nascite e delle morti indu-buddista.