giovedì 17 dicembre 2015

KL



Kuala Lumpur, la capitale della Malesia, è una città veramente bruttina. A parte le torri Petronas che dominano il mondo sottostante dall'alto dei loro 452 metri, e qualche sparuto edificio coloniale che è miracolosamente sopravvissuto all'inesorabile avanzare dei grattacieli, non c'è praticamente nulla che si possa considerare degno di una fotografia, ancora meno di una cartolina. Eppure la città ha un certo fascino, piú discreto e meno inquinato di metropoli come Bangkok o Shanghai.
La Malesia è un misto di popolazioni molto diverse tra loro - malesi, cinesi, indiani - il che ha creato una serie di contraddizioni piuttosto interessanti: è uno stato musulmano in cui si beve a fiumi e pullula di locali notturni per tutte le tasche e tutti i gusti; è formalmente molto tradizionale e conservatore ma ospita uno dei simboli della modernità; è un paese esportatore di petrolio ma non è particolarmente ricco.
A Kuala Lumpur l'intera tradizione culinaria asiatica si dà appuntamento ad ogni angolo di strada. Si mangia cinese, indiano, thailandese, coreano, giapponese. Camminando per i mercati o all'ultimo piano dei centri commerciali si è investiti da odore di zenzero, peperoncino, coriandolo. Spuntano zampe di gallina, ossa con carne, verdure sconosciute e brodi primordiali che bollono in enormi pentoloni di alluminio.
Ma ció che mi stupisce di piú, come ogni volta che vado in Asia, è la totale sensazione di sicurezza che si respira costantemente. A mezzanotte passata di un sabato sera, in una zona che non conosco, in compagnia di perfetti sconosciuti, chiuso fuori dalla casa che mi ospita e senza chiavi, non penso né al portafogli, né a dove passeró la notte, né a tutto quello che teoricamente potrebbe succedermi. Lascio che la serata segua il suo corso, qualcosa succederà e si troverà una soluzione a tutto. E puntualmente succede.



mercoledì 21 ottobre 2015

Saint Martin - Sint Maarten


Le potenze coloniali si sono spartite le isole dei Caraibi come si distribuiscono le carte a briscola: tre a me, tre a te e poi si pesca a turno. Su una di queste isole, tra l'altro una delle piú piccole, Francia e Olanda non hanno saputo decidere, e l'hanno quindi divisa in due. Saint Martin ha una superficie grande come il comune di Vicenza, ma vi si parlano quattro lingue (oltre al francese e all'olandese si usano inglese e creolo), ci sono due aeroporti, due sistemi fiscali separati, due legislazioni diverse e anche due monete diverse: nella parte francese si usa l'euro, in quella olandese il dollaro.
Sí, perché la grande risorsa dell'isola sono gli americani: turisti sovrappeso e un po' attempati che passano un paio di settimane al caldo, almeno quelli che riescono a trovare le forze per allontanarsi qualche minuto dalle slot machines o dai bordelli.
Saint Martin è divisa da un ponte levatotio che connette una baia di un blu da cartolina. Le stradine che salgono e scendono dalle varie colline sono percorse da macchine che procedono in fila indiana con la regolarità e la lentezza di mille formichine. Perché nonostante il bel tempo e le distanze ridicole, nessuno - tranne i poveracci - penserebbe nemmeno a usare una bicicletta.
A sud est, attraverso le trasparenze del mare dei Caraibi, si vede il profilo della costa di St. Barts, dominio francese, l'isola degli straricchi in cui Abramovich ha costruito la sua reggia, oltre a uno stadio per la poca popolazione locale.
A nord, a poco piú di mezz'ora di barca, c'è Anguilla, un'isola di 14.000 abitanti che ha ottenuto la secessione dall'odiatissima Saint Kittts and Nevis, conosciuta ai piú per un paio di velocisti che sono riusciti arrivare alle olimpiadi. Doppo varie rivolte, Anguilla ha ottenuto lo status di dominio oltreoceano britannico.

giovedì 15 ottobre 2015

DOM TOM


Palme, spiagge, mare turchino, vegetazione tropicale, l’umidità dell’aria che si beve ad ogni respiro: il clima tipico della Francia a metà ottobre. Nonostante le otto ore di volo dall’Europa, ci si puó imbarcare con una semplice carta d’identità e non c’è polizia a controllare i passaporti all’arrivo. Guadeloupe, isola delle Antille in mezzo al mare dei Caraibi, è in tutto e per tutto territorio francese. Il termine tecnico è Département d’Outre Mer, abbreviato in DOM, traduzione moderna e politically correct di “ex-colonia”. Qui si puó chiamare Marsiglia al costo di un’interurbana, le targhe delle macchine sono francesi e i giocatori di calcio giocano per Les Bleus, cantando la Marsigliese. Tanto per citarne un paio: Thierry Henry, Lilian Thuram, Nicolas Anelka e – per gli amanti del tennis – Gaël Monfils.
Qui la Francia si chiama Metropole, e i suoi abitanti sono i metropolitains, quasi che vivano tutti in un’immensa grande città. Sono connazionali un po’ pallidi che abitano a un tiro di schioppo, giusto dietro l’angolo dell’oceano Atlantico.

Nella migliore tradizione dei matrimoni d’interesse, i pronipoti degli schiavi fatti arrivare dall’Africa per spezzarsi la schiena nei campi di canna da zucchero e dall’accento impregnato dalla musicalità del creolo hanno preferito il prosaico vantaggio economico al posto di uno sterile sentimento d’amore per la propria indipendenza. E forse non hanno tutti i torti, visto che la Guadeloupe è uno dei posti al mondo con la percentuale piú alta di centenari: caldo, pesce e niente stress.

venerdì 28 agosto 2015

Gross Bigerhorn - Balfrin - Ulrichshorn


La Bordierhütte vince il premio mondiale per la scortesia. I due gestori - uomini baffuti e panzuti poco propensi al sorriso - ti insultano ancora prima che tu abbia messo piede dentro. Per quanto ti sforzi, fai sempre qualche imperdonabile errore: hai messo lo zaino dove vanno i ramponi, oppure la picozza dove vanno le scarpe. Se qualcuno non si attiene agli ordini perentori dei due baffuti, si passa alle vie di fatto: conviene ubbidire.
Si parte alle tre. Uno dei due baffuti ha preparato la colazione e insulta i ritardatari che si affacciano alla porta quindici minuti dopo l'ora stabilita. Io faccio parte di quelli arrivati in anticipo, accolti con un'occhiataccia perché si era detto alle tre e non alle tre meno cinque.
Il cielo stellato fa dimenticare la notte insonne, l'alzataccia e lo sguardo truce del baffuto. Anche per un ignorante del cielo come me le costellazioni appaiono chiare come in un libro di astronomia. Si cammina in silenzio, nel buio, accompagnati dalle stelle e guidati dalle lampade frontali: la direzione è est. In lontananza si vendono le cordate piú veloci, dietro le spalle quelle piú lente. In cima al Gross Bigerhorn, il cielo si tinge di rosso. Il sole sta sbocciando, proprio ora e proprio di fronte ai nostri occhi stanchi.
Sono le sei di mattina e ci aspettano ancora varie ore di camminata su roccia, neve e ghiaccio: verso sud si vede il Balfrin, poi sarà il turno dell'Ulrichshorn.




lunedì 24 agosto 2015

Tunisi oggi


La cosa piú difficile da trovare a Tunisi sono le sedi delle agenzie delle Nazioni Unite. I tassisti girano disperati per le strade ortogonali dell'orrido quartiere delle Berges du Lac costruito con soldi dei paesi del golfo alla ricerca di un indizio: una targa, una bandiera, un'insegna. Niente. La sede dell'UNSMIL, la missione delle Nazioni Unite per la Libia sembra un fortino medioevale, si entra attraverso il garage e si deve lasciare la carta d'identità prima di poter prendere l'ascensore che porta agli uffici. L'UNHCR si è spostato in un'anonima villetta immersa nel nulla di cemento che si estende attorno alla concessionaria della Ford. L'IOM ha scelto un'altrettanto anonima villetta (l'ufficio per la Tunisia) e un appartamento introvabile, poco distante (l'ufficio per la Libia). Chi volesse trovare un'ambasciata europea, invece, non avrà problemi, visto che viene avvisato da misure di sicurezza che ricordano Baghdad o Kabul. La Francia ha fatto chiudere metà centro storico, mentre l'Italia si è limitata alla strada d'accesso. L'Olanda, da sempre piuttosto discreta, ha scelto due enormi container che ospitano guardie armate e annoiate e dei grandi cavalli di frisia davanti al cancello.
Mi ricordo di quando, pochi anni fa, sono andato a un ricevimento organizzato dell'ambasciatore olandese o da suo marito (no, non è un refuso, gli olandesi riconoscono l'omossessualità dei loro ambasciatori). Era una tipica serata tunisina: calda, tranquilla e noiosissima. All'epoca il faccione da Shrek di Ben Ali appariva ad ogni angolo di strada, protetto da uno squadrone di poliziotti con i baffi.
Tutto sembra cambiato in Tunisia, eppure tutto appare come era prima. Le macchine con targhe francesi degli emigrati tunisini intasano le strade assieme a quelle dei libici (turisti o rifugiati a seconda del punto di vista). Si mangia pesce e l'aria è immersa nel profumo di fiori di gelsomino venduti ad ogni semaforo da bambini o da vecchi. Tutti sembra uguale, ma basta accende la radio per rendersi conto di quanto la rivoluzione abbia lasciato il segno. Non ci sono piú le solite tre radio, che parlavano bene del presidente senza sosta. Ora c'è una marea di musica, dibattiti, notizie sportive e programmi culturali. Ogni frequenza ronza informazioni, parole, bassi e batteria. Metà sono italiane. Le onde vengono da quel pezzo di terra che si puó intravvedere nelle giornate terse, poco piú a nord. L'Italia, un tempo un pezzo di Tunisia, oggi una terra di transito per chi vuole andarsene in Francia, o meglio ancora in Germania.

lunedì 6 luglio 2015

Conquest of Paradise

Il lento risveglio (alias "ma non potevo semplicemente dormire tutto il giorno?")


L'approccio (alias "mah, vediamo")


La dura realtà (alias "ma chi me lo fa fare")


Da qualche parte a metà (alias "questa è l'ultima volta, mai piú in vita mia")


Finalmente in cima (alias "la fermata del bus")


La discesa (alias "spero che la corda tenga")