venerdì 5 agosto 2011

Scampoli di Namibia

Non potevo pensare – sorvolando i fuochi d’artificio che scoppiavano nel cielo di Zurigo mentre l’hostess del volo Swiss per Johannesburg annunciava un menu speciale per il giorno dell’indipendenza svizzera – che un paio di giorni dopo mi sarei ritrovato a Whindoek, seduto di fronte a Frank Frederics (quattro medaglie d’argento alle olimpiadi nei 100 e 200) e a Michelle McLean (Miss Universo 1992).

Era la festa di compleanno di Hage, primo ministro della Namibia indipendente, attuale ministro del commercio e papabile per le prossime presidenziali. Ci ero finito in virtù della mia qualità di improvvisato VIP di secondo piano, dopo essere stato intervistato dalla televisione di stato e aver ascoltato il mio nome alla radio, associato a tutta una serie di competenze e di esperienze professionali che mi erano del tutto sconosciute.

C’erano sessanta tavoli nella sala, ogni tavolo aveva dieci sedie. Se dovessi invitare seicento persone al mio compleanno non mi basterebbe facebook. Ma chissà, magari a settant’anni le cose potrebbero cambiare.

Attorno a me c’era tutto il gotha del mondo politico, imprenditoriale, giornalistico e sportivo del paese. La cena doveva iniziare alle sette di sera, ma il primo piatto è arrivato verso le nove e mezza. Nel frattempo, una serie infinita di oratori si avvicendava al podio per rendere omaggio all’illustre festeggiato: discorsi spesso ripetitivi, a volte divertenti, quasi tutti un po’ stantii, come quando si legge con fare eccessivamente naturale una battuta scritta, corretta e riscritta varie volte.

Ministri, parlamentari, eroi della resistenza, pastori protestanti, uomini d’affari ebrei, amici e parenti si avvicendavano e parlavano dell’esilio, della prigione, della lotta di liberazione del partito SWAPO contro il regime dell’apartheid, del movimento che ha portato alla nascita della Namibia moderna, dopo decenni di colonizzazione prima tedesca e poi sudafricana.

Nonostante l’autocelebrazione, la retorica, l’ideologia, l’obbedienza ai dettami del partito, gli aneddoti un po’ ammuffiti e il tono un po’ senile di quelli che parlavano, nell’aria si respirava l’orgoglio per ciò che la Namibia era diventata. Meno celebrata del Sudafrica di Mandela, ma forse più stabile sul lungo periodo, la Namibia è riuscita nel miracolo della transizione verso un regime aperto, tollerante, fondamentalmente democratico, senza cadere nel tranello della polarizzazione dello Zimbabwe o nella deriva della criminalità urbana di molte aree del Sudafrica.

Una piccola magia politica ed economica. Certo è che, tra tutte le loro qualità, i namibiani non hanno certo il dono della sintesi: il dessert è stato servito a mezzanotte e mezza, quando ormai tutti gli ospiti erano o mezzo addormentati o completamente ubriachi (in alcuni casi – come il mio – entrambe le cose).

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