domenica 14 luglio 2013

Tschingelhorn

A volte mi chiedo chi me lo fa fare. Succede spesso quando mi sveglio alle quattro di mattina in un rifugio affollato e insaporito di tutti gli odori delle notte (e dei calzini del giorno prima). Oppure mentre sto salendo a fatica, sul ghiaccio o sulla roccia, e solo la necessità di andare avanti riesce a scacciare la paura.
A volte mi giuro e spergiuro che basta, il prossimo week end al lago a far arrostire würstel. E la decisione sembra presa e con molti punti esclamativi. E poi ci sono le vesciche ai piedi, il mal di spalla, lo zaino, le scottature, le labbra secche, la sete, il caldo, il freddo, la scomodità dell'imbrago, il senso di costrizione della corda, il muoversi impacciati dei ramponi, senza parlare di questa picozza che serve per mezz'ora e te la devi portare dietro per due giorni.
E tutto questo per qualche minuto di panorama mozzafiato, a 3.500 metri al di sopra del mondo normale, con le dame bianche delle alpi svizzere che ti guardano da lontano, sobrie ed altere.
Poi c'è da scendere duemila metri, con le gambe che si muovono a fatica, ma con una soddisfazione in corpo che ti fa già dimenticare di aver detto basta.








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