sabato 29 ottobre 2011

Ghana la riscossa

Non ero mai salito sul bus di una nazionale di calcio. Mentre salivo i gradini di quello delle Black Stars, mi sono sentito come un calciatore vero, un misto tra il gladiatore e la pop star. La gente in strada ci guardava attraverso i finestrini opachi, pensando che seduti gli uni dietro agli altri ci fossero Essien o Gyan.
Il bus si è fermato nel parcheggio dello stadio di Accra e siamo scesi in fila indiana. Non c'erano auricolari o iPod, giacche con lo stemma della federazione e occhiali scuri (perché i giocatori di calcio portano gli occhiali anche di notte?).
Le due squadre si sono schierate una di fronte all'altra: da una parte i rossi, dall'altra i blu. Io sono partito titolare, non tanto per meriti propri, ma perché nessuno ha avuto il coraggio di opporsi alla decisione del capo: quello che non può il talento, può il potere.
Lo stadio era vuoto, le migliaia di sedie di plastica ad osservare la partita più patetica della sua illustre storia. La media d'età sopra i sessant'anni, quella del girovita ben al di sopra del metro e mezzo. Il vantaggio di giocare con gente che ha trent'anni più di te è che non si vede che sei una pippa: basta correre un po'. Ed è così che sono stato nomino d'ufficio erede di Pippo Inzaghi, forse non per il numero di gol segnati, quanto piuttosto per il numero di fuorigioco che mi sono stati fischiati contro da un arbitro inflessibile, probabilmente pagato dai nostri avversari.
Abbiamo perso 2 a 1, nonostante noi avessimo nei nostri ranghi un ex-pallone d'oro africano e l'ex capitano della nazionale svizzera (entrambi negli anni settanta). Un mio compagno di squadra ha anche identificato nella mia sostituzione prematura la causa della disfatta. Poi tutti a casa.
La sera, a cena, ho scoperto che il nome Kofi - uno dei più comuni del Ghana - viene dato a chi è nato il sabato, mentre Kwame - come il padre della patria e del movimento di decolonizzazione - a chi è nato il venerdì. Robinson Crusoe in fondo non aveva inventato niente.

martedì 18 ottobre 2011

Musica (e senza maestro)


Per qualcuno comprare uno stereo è un'esperienza mistica, un progetto che inizia un giorno e non finisce mai più: sono gli audiofili, una setta estremamente ideologizzata ma fondalmente innocua. Per altri comprare uno stereo è un'attività corrente, benché piuttosto rara: sono la maggioranza che considera la musica un passatempo e non una religione. Per me comprare lo stereo è stata un'odissea: è iniziata mesi fa ed è finita solo ora.
Se l'invenzione del mp3 è stata una rivoluzione per l'umanità, per me è stata una benedizione. Muovendomi per dieci anni tra Africa, Medio Oriente e America Latina, il mio iPod mi ha risparmiato il trasporto di decine di chili di CD. Piccolo problema è che poi diventi schiavo di quel piccolo pezzo di tecnologia e design, che non è dotato di interruttore e soprattutto dipende da iTunes come un bambino della madre. Il cavo USB è il cordone ombelicale e il cibo si chiama "sincronizzazione". Se poi iTunes ha un bug e si incanta come una beghina di fronte alla Madonna sei fregato. Ancora peggio se i supermegastereo disegnati apposta per gli mp3 non comunicano con il tuo iPod. Questo vuol dire settimane di pellegrinazioni tra i migliori negozi di HiFi di Zurigo, dove esperti mondiali dell'alta tecnologia iniziano a sgranare gli occhi, grattarsi i capelli e a prometterti che contatteranno i servizi tecnici di tutte le migliori marche mondiali, i quali o non rispondono oppure alzano bandiera bianca implorando pietà.
Dopo tante lotte contro il tempo (i negozi chiudono alle 18.30 e arrivarci dopo il lavoro richiede doti da centometrista) ce l'ho fatta. Ho comprato due casse che valgono quanto un'utilitaria usata e ho anche scovato l'unico amplificatore che accetta di parlare con il mio iPod.
E' un martedì sera. Non c'è nessuno in casa (come sempre). Sono seduto sul divano, che si trova ad un rapporto di 1,5 rispetto alla distanza delle casse tra di loro. C'è silenzio, le finestre sono chiuse, le porte anche. Metto "Falando de amor" di Stefano Bollani, bevo un Pastis. Poche volte in vita mia mi sono sentito tanto privilegiato. La musica e il cinema sono i due piaceri per cui non hai bisogno di un partner.

mercoledì 12 ottobre 2011

Misteri di Zurigo


Se a Zurigo vai in una delle due palestre di arrampicata sportiva un mercoledì sera, ti sembra di essere in un supermercato il sabato pomeriggio, o fuori da un rave party poco prima che inizi. Se parli con qualcuno, dopo poco scoprirai che fa regolarmente sci alpinismo, freestyle, parapendio oppure vola in aliante. E' normale.
Il vero sport estremo, invece, è organizzare una cena tra amici. 
Inanzitutto bisogna gettare nel cestino dell'immondizia la spontaneità. Svegliarsi la mattina con la voglia di cucinare e invitare qualcuno a cena non solo è praticamente impossibile, ma quasi insultante. Organizzare una cena è un'attività di lungo terminne, che richiede attenta e precisa preparazione. E' obbligatorio fissare la data con almeno una settimana d'anticipo, meglio ancora se due. La gente qui è sempre, costantemente, terribilmente occupata (non si sa se per davvero oppure perché così si deve essere per essere socialmente accettati).
Poi bisogna fare gli inviti e qui la cosa si complica ancora di più, perché se per caso avevi intenzione di invitare uno svizzero, devi assicurarti che la cosa non lo destabilizzi. "Ma come, ci conosciamo solo da sei mesi e già mi inviti a cena? Dove andrà il mondo di questo passo...". Penso che tra non molto verrà stabilita una patente di amicizia, emessa dall'autorità competente e sottomessa ad una rigida e dettagliata regolamentazione. Senza patente d'amicizia tutti a letto senza cena. Punto.
Infine bisogna essere sicuri che tutti si sentano a proprio agio, perché invitare qualcuno senza che questi conosca gli altri sarebbe l'equivalente di tirargli un pugno sul muso.
E' chiaro che se conosci poca gente e fare una cena è il tuo modo per conoscerne di più, il progetto è un fallimento in partenza. Ma visto che è impossibile conoscere gente in altro modo (lo svizzero è refrattario al contatto casuale, soprattutto se in luogo pubblico), la domanda è semplice: ma come cazzo si socializza in questo posto?
Non mi resta che fare un salto all'Erotik Factory sotto casa e chiederlo al gestore.