mercoledì 25 aprile 2012
Gesù in mezzo ai calciatori
Il prete indossa una maglia del Real Madrid, il suo assistente una maglia del Bayern: una piccola sfida locale che richiama la semifinale di Champions League. Ci fa entrare nel suo ufficio, una stanzetta di qualche metro quadrato che sembra la sede di un club calcistico di periferia: qualche coppa, delle foto con giocatori di calcio e soprammobili a forma di pallone.
Siamo in una parrocchia di Bujumbura, capitale del Burundi. E' la seconda volta che passo di qui ed ogni volta ho fatto un salto alla parrocchia per vedere come sta il campo da calcio che viene difeso come un oggetto sacro (è il caso di dirlo) dalla diocesi, tanto che sono riusciti a convincere l'ambasciata francese a costruire una recinzione in mattoni. Il campo è un rettangolo di terra battuta con erba troppo alta. Dei ragazzini vestiti di blu rincorrono ragazzini vestiti di rosso mentre dalle tribune una piccola folla li incita: è una sfida tra quartieri. Il mio arrivo, armato di macchina fotografica digitale, scompiglia un po' la concentrazione dei presenti, ma poi l'interesse per il muzungu lascia il posto a quello per la partita.
Il prete ci dice che tutto va bene e che da quest'anno hanno iniziato a fare squadre miste di ragazzi e ragazze. Hanno anche adattato le regole del gioco: i falli fatti dai ragazzi contro le ragazze vengono puniti più severamente, mentre se c'è un calcio di rigore o una punizione dall'aerea è obbligatorio far tirare una ragazza (non so se l'IFAB approverebbe).
Mentre ritorniamo verso la macchina, dopo aver discusso di calcio locale e dei risultati deludenti del Burkina Faso alla Coppa d'Africa (il prete è burkinabé), entro velocemente in chiesa dove si sta celebrando un matrimonio. La struttura è una specie di capannone con tetto a spiovente e le porte e finestre aperte per far entrare un po' d'aria. Sulla parete di fronte, al lato del prete tedesco che sta facendo la predica in francese, c'è un dipinto che raffigura Gesù in mezzo ai calciatori.
lunedì 16 aprile 2012
Un italiano a New York
Una delle cose che continuano a stupirmi degli Stati Uniti (e ce ne sono tante) è la totale fascinazione degli americani per l’Italia, per il suo cibo, per la sua cultura e musica classica. E’ un’ammirazione che sfocia nell’ossessione, oltre che – a volte – nella parodia. Leggendo i settimanali sembra che l’Italia intera viva in piccoli paesini abbarbicati a rocce spioventi sul mare, con i pescatori che ti portano a casa il pesce fresco cantando arie di Verdi. La sera i loro figli scendono in piazza in Vespa per bere vino e caffè e cantare tutti insieme arie di Verdi. Per uno strano miracolo, l’immagine oleografica e patinata dell’Italia non sembra essere intaccata dagli scandali a ripetizione, dalla politica da operetta (o da Opera) e dall’apparenza ben poco estetica dei nostri rappresentanti ufficiali e ufficiosi.
Litlle Italy a Manhattan è diventato uno dei quartieri più chic di New York. Nonostante sia al lato di China Town, dove turisti e curiosi si mescolano a casalinghe cinesi che comprano pezzi di animali improbabili parlando in cantonese e mandarino (almeno penso), Little Italy è un altro mondo: elegante, alto, estetico, alla ricerca della qualità nel dettaglio, caro. E’ pieno di ristoranti in cui si può mangiare cibo italiano vero (da non confondere con quello spacciato per tale nel resto degli Stati Uniti). La mozzarella è di bufala, l’acqua è San Pellegrino, quello che c’è nel piatto corrisponde a ciò che il menù dice. E si tratta quasi sempre di una ricetta regionale tipica, il più delle volte sconosciuta perché di una regione in cui non si è stati.
Nel cuore di Manhattan, nel Greenwitch Village c’è Washington Square Park, un’area verde che nelle belle giornate di primavera è invasa da centinaia di persone sdraiate sulle panchine le une sulle altre come le iguane delle Galapagos. Le note dei suonatori di strada si sovrappongono. Non si tratta di canzoncine strimpellate per qualche monetina, ma quasi sempre dei pezzi suonati da professionisti, magari con tanto di complesso al seguito. Oggi c’è un pianista che ha portato il suo piano a mezza coda e suona ininterrottamente pezzi jazz intercalati a pezzi classici e qualche canzone pop. E’ l’attrazione della piazza.
Poco lontano, un po’ in disparte, Garibaldi lo ascolta estraendo la sua spada per un nemico immaginario, ignorato dalla folla. Forse è una mia impressione, ma sembra avere lo sguardo divertito.
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