Mi svegliai in un bagno di sudore e
sperma. Erano scomparse le cosce della Marini, le sue labbra gonfie, le tette,
il culo, tutto. Rimaneva un letto sfatto e una stanza buia. Una sveglia mi
richiamava alla realtà – o a ciò che consideriamo tale – implacabile come una
ghigliottina. Un odore acre e familiare saliva dalle mutande verso il naso. La
delusione scendeva dal mio cervello verso i miei genitali depressi. Per una
logica ovvietà la doccia prevalse sulla colazione e mi ritrovai ad invertire il
mio rito mattutino: prima il sapone e poi il caffè.
Pioveva, era mercoledì e fuori dalla
finestra c’era Castelfranco Veneto, più insipida del solito. La strada era
bagnata, la pioggia aveva formato delle pozzanghere irregolari e profonde da
cui schizzi di acqua sporca si alzavano al passaggio di vecchie utilitarie
guidate da uomini con la faccia nera e berretti calcati fino alle sopracciglia.
Da un po’ di tempo il triveneto produttivo non era più quello della mia
infanzia, ovvero: soppressa, lavoro, Mercedes ed evasione fiscale; tranne per
l’evasione fiscale s’intende.
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