La Nigeria, lo
stato più popoloso d’Africa ed il primo produttore di petrolio del continente,
è stata colonizzata con l’accetta: a nord del fiume Niger i francesi, a sud gli
inglesi e pazienza se il confine divideva popolazioni appartenenti allo stesso gruppo
etnico, l'importante era spartirsi il territorio senza troppe tensioni. Per gli africani i fiumi sono dei mezzi di comunicazione e di aggregazione. Per gli Europei sono delle frontiere naturali, perfetti per piantare bandiere e far firmare trattati a capi tribali analfabeti.
Il risultato
attuale è uno stato di più di 170 milioni di abitanti, appartenenti a 250
gruppi etnici, in cui si parlano 500 tra lingue e dialetti. In tutta questa enorme
complessità, c’è chi semplifica il tutto con una serie di bipolarità: il nord e
il sud, i cristiani e i musulmani, i ricchi e i poveri, i terroristi di Boko
Haram e l’esercito.
Io mi fermo alla dicotomia tra città. C’è Lagos, la città-mostro di 8 milioni di
abitanti ufficiali (quelli reali nessuno lo sa), in cui miseria, criminalità e inquinamento si
mischiano senza soluzione de continuità a lusso, vita notturna e dinamismo
senza pause. La città incontrollabile che cresce a dismisura senza alcuna
pianificazione, ma in cui si registrano incredibilmente i più alti tassi di
felicità al mondo (http://www.jdsurvey.net/jds/jdsurveyMaps.jsp?Idioma=I&SeccionTexto=0404&NOID=103).
E c’è Abuja, la
nuova capitale costruita dal nulla come Brasilia, senza anima, il cantiere
eterno finanziato dal petrolio fatto di grandi arterie stradali, edifici nuovi
che ospitano ministeri e uffici pubblici, hotel e centri commerciali. La città ordinata
e pulita, in cui le case e gli abitanti passano in secondo piano rispetto alle
leggi della viabilità e all’immagine di modernità.
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