mercoledì 21 ottobre 2015
Saint Martin - Sint Maarten
Le potenze coloniali si sono spartite le isole dei Caraibi come si distribuiscono le carte a briscola: tre a me, tre a te e poi si pesca a turno. Su una di queste isole, tra l'altro una delle piú piccole, Francia e Olanda non hanno saputo decidere, e l'hanno quindi divisa in due. Saint Martin ha una superficie grande come il comune di Vicenza, ma vi si parlano quattro lingue (oltre al francese e all'olandese si usano inglese e creolo), ci sono due aeroporti, due sistemi fiscali separati, due legislazioni diverse e anche due monete diverse: nella parte francese si usa l'euro, in quella olandese il dollaro.
Sí, perché la grande risorsa dell'isola sono gli americani: turisti sovrappeso e un po' attempati che passano un paio di settimane al caldo, almeno quelli che riescono a trovare le forze per allontanarsi qualche minuto dalle slot machines o dai bordelli.
Saint Martin è divisa da un ponte levatotio che connette una baia di un blu da cartolina. Le stradine che salgono e scendono dalle varie colline sono percorse da macchine che procedono in fila indiana con la regolarità e la lentezza di mille formichine. Perché nonostante il bel tempo e le distanze ridicole, nessuno - tranne i poveracci - penserebbe nemmeno a usare una bicicletta.
A sud est, attraverso le trasparenze del mare dei Caraibi, si vede il profilo della costa di St. Barts, dominio francese, l'isola degli straricchi in cui Abramovich ha costruito la sua reggia, oltre a uno stadio per la poca popolazione locale.
A nord, a poco piú di mezz'ora di barca, c'è Anguilla, un'isola di 14.000 abitanti che ha ottenuto la secessione dall'odiatissima Saint Kittts and Nevis, conosciuta ai piú per un paio di velocisti che sono riusciti arrivare alle olimpiadi. Doppo varie rivolte, Anguilla ha ottenuto lo status di dominio oltreoceano britannico.
giovedì 15 ottobre 2015
DOM TOM
Palme, spiagge, mare
turchino, vegetazione tropicale, l’umidità dell’aria che si beve ad ogni
respiro: il clima tipico della Francia a metà ottobre. Nonostante le otto ore
di volo dall’Europa, ci si puó imbarcare con una semplice carta d’identità e non
c’è polizia a controllare i passaporti all’arrivo. Guadeloupe, isola delle
Antille in mezzo al mare dei Caraibi, è in tutto e per tutto territorio
francese. Il termine tecnico è Département
d’Outre Mer, abbreviato in DOM, traduzione moderna e politically correct di “ex-colonia”. Qui si puó chiamare Marsiglia
al costo di un’interurbana, le targhe delle macchine sono francesi e i
giocatori di calcio giocano per Les Bleus,
cantando la Marsigliese. Tanto per citarne un paio: Thierry Henry, Lilian
Thuram, Nicolas Anelka e – per gli amanti del tennis – Gaël Monfils.
Qui la Francia si chiama Metropole, e i suoi abitanti sono i metropolitains, quasi che vivano tutti
in un’immensa grande città. Sono connazionali un po’ pallidi che abitano a un
tiro di schioppo, giusto dietro l’angolo dell’oceano Atlantico.
Nella migliore tradizione
dei matrimoni d’interesse, i pronipoti degli schiavi fatti arrivare dall’Africa
per spezzarsi la schiena nei campi di canna da zucchero e dall’accento
impregnato dalla musicalità del creolo hanno preferito il prosaico vantaggio
economico al posto di uno sterile sentimento d’amore per la propria
indipendenza. E forse non hanno tutti i torti, visto che la Guadeloupe è uno
dei posti al mondo con la percentuale piú alta di centenari: caldo, pesce e
niente stress.
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