Palme, spiagge, mare
turchino, vegetazione tropicale, l’umidità dell’aria che si beve ad ogni
respiro: il clima tipico della Francia a metà ottobre. Nonostante le otto ore
di volo dall’Europa, ci si puó imbarcare con una semplice carta d’identità e non
c’è polizia a controllare i passaporti all’arrivo. Guadeloupe, isola delle
Antille in mezzo al mare dei Caraibi, è in tutto e per tutto territorio
francese. Il termine tecnico è Département
d’Outre Mer, abbreviato in DOM, traduzione moderna e politically correct di “ex-colonia”. Qui si puó chiamare Marsiglia
al costo di un’interurbana, le targhe delle macchine sono francesi e i
giocatori di calcio giocano per Les Bleus,
cantando la Marsigliese. Tanto per citarne un paio: Thierry Henry, Lilian
Thuram, Nicolas Anelka e – per gli amanti del tennis – Gaël Monfils.
Qui la Francia si chiama Metropole, e i suoi abitanti sono i metropolitains, quasi che vivano tutti
in un’immensa grande città. Sono connazionali un po’ pallidi che abitano a un
tiro di schioppo, giusto dietro l’angolo dell’oceano Atlantico.
Nella migliore tradizione
dei matrimoni d’interesse, i pronipoti degli schiavi fatti arrivare dall’Africa
per spezzarsi la schiena nei campi di canna da zucchero e dall’accento
impregnato dalla musicalità del creolo hanno preferito il prosaico vantaggio
economico al posto di uno sterile sentimento d’amore per la propria
indipendenza. E forse non hanno tutti i torti, visto che la Guadeloupe è uno
dei posti al mondo con la percentuale piú alta di centenari: caldo, pesce e
niente stress.
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