mercoledì 4 luglio 2012

Ouaga


Otto vocali e tre consonanti: Ouagadougou. Sembra più uno scioglilingua che il nome di una capitale. Più di dieci anni fa, Ouagadougou è stata la mia prima tappa africana, la prima volta che mi trovavo al sud del Sahara. Non ci avevo messo piede perché si trattava solo di uno stopover di un volo Air Afrique verso Bamako. Nel frattempo i voli della speranza di Air Afrique sono scomparsi assieme ai sogni della compagnia panafricana, e Bamako è capitale di metà dello stato che era.
Di ritorno in Burkina Faso, in realtà non riesco a vedere molto di più che l’aeroporto, un hotel e qualche ministero. Ouagadougou è una città bruttina e polverosa come tutte le sue sorelle della regione. In compenso vive ad un ritmo tutto suo, lento e armonico. E’ una città che non mette ansia e che sa vivere alla velocità delle molte biciclette e delle poche macchine che ne fanno muovere gli abitanti.
C’è qualcosa di unico e accogliente nella gente dell’Africa occidentale e il Burkina Faso non fa eccezione: il sorriso e la gentilezza sembrano tatuati nello spirito della gente, e pazienza se iniziare una riunione in orario è pura fantascienza o se per prendere una decisione ci vogliono tre ore di discussione in cui tutti devono prendere la parola, senza necessariamente avere molto da dire.
Ouagadougou è anche la capitale africana del cinema, almeno quando ospita il FESPACO, il festival del cinema panafricano, ogni due anni. In quei giorni viene invasa da migliaia di visitatori dagli stati confinanti e gli spazi polverosi e trasandati che separano edifici grigi e scrostati si trasformano come per magia in arene all’aperto.
Ma tutto questo sono obbligato a immaginarlo, perché il mio aereo parte troppo presto e mi lascia solo il tempo di vedere dei ragazzini giocare a calcio durante l’allenamento dell’Etoile de Ouagadougou, la Juventus locale.

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