giovedì 19 luglio 2012

Piz Kelsch


Non si può vivere in Svizzera senza visitare uno dei suoi ghiacciai. Ho quindi preso un treno che mi ha portato nelle montagne intorno a Saint Moritz per lasciarmi ad una minuscola stazione con fermata su richiesta. Lì ho incontrato i miei compagni di viaggio: un Superman svizzero superaccessoriato, una guida alpina  relax ed un anziano molto arzillo che dedica la pensione alla montagna, con e senza la moglie al seguito. Piccolo problema, i tre parlano solo svizzero tedesco. Mi aspetterà un week end di lunghi silenzi.
La prima tappa è un rifugio a 2600 metri, dominato dal Piz Kelsch, la montagna che scaleremo il giorno dopo. Appena arrivati vedo che i miei compagni si sono tolti gli scarponi e hanno indosse delle Crocs, le orrende ciabatte di plastica con i buchi. Mi mordo le mani per non avere portato delle ciabatte anch'io e mi prospetto come l'unico avventore ad andare in giro in calzini, triste e solitario. Poi scopro che le crocs sono messe a disposizione del rifugio, per cui me le metto anch'io e mi riconforto dall'essere uguali a tutti gli altri: ora sono felice.
A cena si sente parlare solo italiano. Gli italiani sono solo tre in mezzo ad una trentina di svizzeri, ma il volume è al massimo, per cui la stereofonia è assicurata. Parlano principalmente di cibo, chiaramente lamentandosi di quello che hanno davanti.
A letto con le galline e sveglia prima del gallo alle 5. Come sempre i primi passi della mattina sono delle mazzate alle gambe, poi ci si scalda un po' e la fatica passa. Si arriva a breve al ghiacchiaio, si montano i cramponi, poi il ghiacciaio finisce, ma non la montagna. Con mia grande sorpresa, l'ultimo pezzo è tutto un misto di roccia e neve, senza grandi protezioni, per cui la corda è poco più che una decorazione. In compenso scopro con grande gioia che i cramponi tengono a meraviglia sulla roccia, anche se con un rumore non proprio piacevole. Con in mente ancora la fatica totale dei ghiacciai andini, la salita mi sembra normale, anzi piacevole. Prima che me ne renda conto siamo in cima, a 3500 metri. Sotto di noi il mondo. Sopra di noi il cielo. Superman non ha neanche il fiatone, e anche l'arzillo vecchietto è salito senza troppi problemi. La guida è contenta che siamo veloci e potrà rientrare a casa ad un'ora decente.
La discesa è uno spettacolo. Scendiamo per tutto il ghiacciaio e poi continuiamo in un misto di neve e ruscelli, in un paesaggio lunare. Poi appare qualche filo d'erba, del muschio, infine dei pini mughi e poi ancora qualche abete, fino all'apparire dei fiori e delle latifoglie. Ognuno dei 2000 metri di dislivello sembra avere un regalo per noi.

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