domenica 19 agosto 2012

Groenlandia 1



Dopo tre ore scarse di sonno mi trovo al terminale 1 dell’aeroporto Charles de Gaulle di Parigi. Sono le 5.30 di mattina e di fronte al check-in della Icelandair c’è già una lunga fila. Alle 6 arriva Ben, amico incontrato in Tunisia nel 2009. All’epoca si era presentato per un giro a piedi nel deserto con camicia bianca, mocassini, maglioncino di cachemire e Rolex al polso. Questa volta, unica concessione per il viaggio in Groenlandia, il maglioncino in cachemire è stato sostituito da una maglia in polartec della Lowe Alpine. Ben è un vero dandy.
Aspettando la guida come da istruzioni della nostra agenzia specializzata in viaggi estremi, facciamo un rapido ripasso delle nostre vite. Siamo entrambi scapoli e misogini: nulla è cambiato dunque.
Sono le 7 e la guida non si vede, il volo parte alle 8. Chiamiamo il suo numero di cellulare che è spento, poi il numero d’emergenza dell’agenzia che suona a vuoto. Decidiamo di metterci in coda per il check-in quando chiama l’agenzia dicendo che non sanno dove sia la guida: si inizia bene. A metà volo, dopo un annuncio della hostess, c’è una voce francese che dice cose che non capisco. Deve essere il nostro uomo, che ritroveremo ai bagagli. L’organizzazione e il mondo urbano non sembrano essere i suoi punti forti, speriamo che sui ghiacciai vada meglio.
A Reykjiavik si cazzeggia un po’ e Ben inizia a fare l’inventario del suo materiale tecnico e a compararlo con il mio, cosa che fa da quando gli ho aperto gli occhi sul magnifico mondo dell’attrezzatura da montagna. Questa volta sembra convintissimo di avermi battuto su tutti i fronti. La punta di diamante della sua attrezzatura è un cappellino con rete anti-zanzare integrata con cui non posso competere.
A Reykjiavik incontriamo anche gli altri compagni di sventura: un professore di chimica svizzero che ha già fatto un giro in solitaria in Groenlandia e una coppia di avvocati-maratoneti francesi che sembrano un catalogo ambulante di materiale super-tecnico da montagna. Ben critica in sordina le scarpe da ghiacciaio della ragazza giudicandole troppo pesanti e vantandosi di aver scelto le sue vecchie scarpe Raichel, marca nel frattempo scomparsa.

La mattina comincia con la spartizione di tonnellate di formaggio, principale fonte di cibo nei prossimi giorni. Poi si prende un volo per Constable Point, ovvero una pista sterrata sulla costa orientale della Groenlandia circondata da mare, roccia e ghiaccio. I passeggeri dell’aereo si dividono in due grandi categorie: da una parte gli Inuit (Eschimesi) e i loro amici e benefattori e dall’altra parte dei masochisti dell’estremo che pagano delle piccole fortune per farsi del male e soffrire il freddo. Nel caso specifico si tratta del nostro gruppo e di un gruppo di pazzi francesi che risaliranno la costa verso nord in kayak in totale autonomia.
Tra l’aeroporto e il villaggio di Ittoqqortoormiit (no non è un errore di battitura, si chiama proprio così) non c’è strada, né un ponte che permetta di attraversare il fiordo. L’unico modo per andarci è prendere un elicottero che fa la spola portando ogni volta sei passeggeri. L’organizzazione del trasporto è molto aleatoria e la flemma è d’obbligo. Se non fosse per il fatto che siamo oltre il circolo polare penserei che siamo in Africa centrale.
Il rumore di pale dell’elicottero è assordante quando l’elicottero si stacca dolcemente da terra e sorvola il fiordo e i ghiacciai che vi si gettano dentro. Il viaggio dura quindici minuti, ma varrebbe la pena rimanere in aria per delle ore ad ammirare il paesaggio.
Ittoqqortoormiit è un villaggio di 400 anime in cui le case sono tutte uguali, tranne che per il colore. Sembra di vivere nel paese dei Puffi. Cosa faccia la gente tutto il giorno rimarrà un mistero insolubile. Ad Ittoqqortoormiit c’è una sola guesthouse gestita da Jennifer, canadese con la passione dei cani da slitta, che ci spiega tutto quello che dobbiamo sapere sul posto. Il punto principale del briefing è la presenza di un ladro – il ladro ufficiale del paese – di cui bisogna evitare l’ingresso nella guesthouse. Il ladro viene sistematicamente condannato dal giudice volante che arriva ogni tanto, ma visto che non c’è prigione rimane in libertà. Ittoqqortoormiit è l’emblema delle pene alternative.
Il resto del giorno è dedicato ad aprire i pacchi di provviste e a spartirsi il peso aggiuntivo. Scopriamo che la guida non conosce il posto e la cartina di cui dispone è praticamente una fotocopia di un atlante geografico. Si discute se portare o meno la corda, che viene approvata a furor di popolo. Veniamo anche dotati di bengala anti-orso sulla cui utilità ho qualche dubbio, nonché di fucile a pallettoni, anch’esso anti-orso, sempre che si riesca a sparargli prima che lui ti mangi. Il peso totale del mio zaino a pieno carico sarà di circa 25 Kg.

La partenza è alle 9 di una domenica mattina. Ittoqqortoormiit è completamente deserta causa festeggiamenti della sera precedente. Non abbiamo ancora oltrepassato l’ultima casa che la mia schiena inizia a scricchiolare come una vecchia trave mangiata dai tarli. Il tempo è nebbioso e prendiamo una vaga direzione nord-est. Non si vede niente e ci si ferma ogni tanto a prendere dei punti col GPS. Quando ci fermiamo ho la forza di guardarmi attorno e mi trovo improvvisamente sulla luna. Una distesa di rocce quarziche è ricoperta da licheni neri. Ogni tanto appare qualche minuscolo fiorellino viola, una cacca di lepre polare e anche dei miracolosi mirtilli che pendono da una minuscola piantina di pochi centimetri d’altezza.
Camminiamo sulla roccia e sulla neve e le gerarchie del fiato si rivelano alla prima salita. Lo svizzero e i due francesi sembrano correre leggiadri sulla neve, io li seguo affaticato mantenendo un certo contegno e Ben arranca con la lingua di fuori. Ha smesso di fumare il giorno prima e non sembra vivere uno dei suoi giorni migliori.
Verso l’una la nebbia scompare e ci lascia finalmente vedere il paesaggio: a nord la calotta coperta di neve che costituirà la nostra meta peri prossimi due giorni e a sud un mare di un blu irreale attraversato da iceberg di diverse dimensioni e forme. Verso metà pomeriggio si alza il vento e di colpo fa freddo. E’ ora di trovare un posto per la notte. Montiamo le tende su uno spiazzo di neve con vista mare. I cinque cani da slitta che ci hanno seguito da Ittoqqortoormiit si sdraiano sulla neve e si addormentano all’istante. Non hanno bisogno di zaini, sacchi a pelo, giacche a vento o creme solari. Neanche di cibo a quanto pare, visto che non ne hanno chiesto e non ne hanno ricevuto (lo abbiamo appena per noi). La cena è a base di gulash liofilizzato, minestra knorr e cappuccino solubile. La vista in lontananza è la ciliegina sulla torta che non c’è.  

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