giovedì 19 settembre 2013

Da Buenos Aires a Berazategui


Quando tre anni fa, alla fine del mio periplo per l'America Latina ero arrivato a Buenos Aires, l'avevo trovata spettacolare. Bere vino e caffè, mangiare bistecche e pizza dopo mesi di sopitas, carnitas, frijoles e arrozito era stat un'esperienza mistica e catartica, un ritorno a casa.
Sarà che tre anni di Svizzera mi hanno abituato alla perfezione, oppure che l'inverno mette a nudo le debolezze di qualsiasi città, ora Buenos Aires mi appare meno ricca e sfavillante. Gli edifici e le strade sono gli stessi, ma i negozi e le persone appaiono diversi, tutto sembra un po' più veccho e grigio.
A differenza di allora, quando - distrutto da un viaggio estenuante aspettavo il mio volo di ritorno in un misto di rassegnazione e solitudine - adesso condivido il mio jet lag con una strana creatura mitologica, metá hostess e metá artista, che mi fa conoscere piccoli gioielli metropolitani come l'Ateneo (un teatro trasformato in libreria) o Clasica y Moderna (un ristorante letterario).
Essere esenti dall'obbligo turistico di vedere tutto quello che viene menzionato nella guida è una liberazione senza pari, come anche esplorare il sobborgo di Berazategui una domenica mattina, con i negozi chiusi e in compagnia del camion dell'immondizia. Sono sicuramente l'unico turista di Berazategui e - assieme all'animale mitologico di cui sopra - mi muovo tra le casette disposte a scacchiera come se fossi in un sito archeologico greco  o romano. Posso immaginare l'anno 1908, la costruzione della fabbrica di vetro Rigolleau, la ferrovia con la stazione ancora incompiuta. Arrivano immigranti italiani, spagnoli, tedeschi e polacchi, tutti con la pancia piena solo di speranza. Berazategui si è sviluppata attorno alla sua fabbrica: la piazza, il municipio e la chiesa si sono aggiunti dopo, come fossero dei dettagli.
Nel cortile di una delle tante casette assisto ad un rituale argentino a cui possono accedere solo gli adepti di una popolare religione locale denominta asado. Sulla griglia si intersecano come in un puzzle colorato varie parti del corpo di una mucca che è stata sacrificata per il piacere di noi umani. Là dove chiunque vede solo carne, l'argentino riesce a declinare nomi di ghiandole salivari, tratti dell'intestino tenue, salsicce di sangue e vari organi generalmente poco interessanti per il palato. Il peggio è che è tutto tremendamente buono e che per quanto il cervello si opponga, la pancia lo convince a rimandare il vegetarianesimo a data da destinarsi.

Nessun commento:

Posta un commento