Vicino a casa mia c'è un posto che non riesco a definire. E' una specie di bar che serve la birra più economica di Zurigo. Ci sono quattro televisioni che fanno vedere ognuna una partita di calcio diversa. Su una parete ci sono dei computer connessi a internet che nessuno usa. I clienti vengono da ogni angolo del pianeta tranne che dalla Svizzera. Molte delle facce parlano del corno d'Africa: Eritrea, Etiopia, Somalia. E poi ci sono gli slavi: serbi, croati, kosovari. L'unica parola che capisco, quando un giocatore sbaglia un gol, è "Scheisse", merda.
Il padrone oggi fa l'anfitrione. Invece di limitarsi a tirare fuori lattine di birra da mezzo litro, sposta i divani consunti in modo che tutti abbiano la visuale migliore. Da sotto i divani escono montagne di polvere e detriti vari, ma questo è un dettaglio.
Mentre tutti fissano lo schermo con Real Madrid - Barecllona, el clasico, sugli altri schermi si consuma la morte lenta del calcio italiano: Milan-Sampdoria 3 a 0 e Parma-Inter 2 a 0. Per qualche minuto le tre partite si sovrappongono, ma le velocità sono completamente diverse. In Italia tutto sembra girare al rallentatore.
Alla pausa riempio il tempo sfogliando una copia de Il Giornale, abbandonato là chissà da chi. Uno dei titoli in prima pagina dice "Altro che pacifista, odiava Israele". L'articolo parla di Vittorio Arrigoni, l'attivista pro-palestinese ucciso a Gaza da militanti islamisti. Vittorio Arrigoni era arrivato nei territori occupati nel 2008, pochi mesi dopo che io ero partito; non l'ho mai conosciuto. Di lui mi ricordo delle interviste a Caterpillar durante l'operazione "piombo fuso". Mi era parso ideologico e mi aveva ricordato certi italiani che avevo conosciuto in Colombia che sembravano vedere solo le porcherie dei paramilitari e non quelle delle FARC. Ma questa era solo un'impressione: vivere sotto i bombardamenti non facilita certo il distacco oggettivo e l'analisi accademica.
Con tutte le precisazioni del caso, ammiro le persone come Arrigoni che si dedicano anima e corpo a un'idea, che vivono senza badare al risparmio o alla convenienza, rimettendoci a volte la pelle. E' capitato ad un altro ragazzo italiano nel 2006: stava camminando lungo le mura della città vecchia di Gerusalemme, per una strada che ho fatto a piedi tante volte, ed è stato accoltellato da uno squilibrato di Jenin che voleva uccidere un israeliano.
L'articolo de Il Giornale è un ingorgo sintattico prolisso e quasi illeggibile, che ribolle di rabbia. Ricorda a tratti i deliri di Oriana Fallci nel dopo 11 settembre. Lo finisco con una certa fatica, senza riuscire veramente a capirne il senso, tranne il fatto che vuole difendere Israele per un crimine che non ha commesso. Non so se l'autrice abbia anche scritto il titolo (ci sono persone che di lavoro fanno solo quello e a Il Giornale devono avere molto lavoro). Se avessi tempo e voglia, scriverei una lunga lettera al direttore chiedendogli se di Ghandi avrebbe scritto "altro che pacifista, odia la Gran Bretagna". Seppur lieve, c'è una certa differenzta tra l'odio (presunto) e la violenza. Di fronte alla morte, in certi casi, sarebbe meglio tacere.
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