Dopo tre ore scarse di sonno mi trovo al terminale 1
dell’aeroporto Charles de Gaulle di Parigi. Sono le 5.30 di mattina e di fronte
al check-in della Icelandair c’è già una lunga fila. Alle 6 arriva Ben, amico
incontrato in Tunisia nel 2009. All’epoca si era presentato per un giro a piedi
nel deserto con camicia bianca, mocassini, maglioncino di cachemire e Rolex al
polso. Questa volta, unica concessione per il viaggio in Groenlandia, il maglioncino
in cachemire è stato sostituito da una maglia in polartec della Lowe Alpine.
Ben è un vero dandy.
Aspettando la guida come da istruzioni della nostra
agenzia specializzata in viaggi estremi, facciamo un rapido ripasso delle
nostre vite. Siamo entrambi scapoli e misogini: nulla è cambiato dunque.
Sono le 7 e la guida non si vede, il volo parte alle 8.
Chiamiamo il suo numero di cellulare che è spento, poi il numero d’emergenza
dell’agenzia che suona a vuoto. Decidiamo di metterci in coda per il check-in
quando chiama l’agenzia dicendo che non sanno dove sia la guida: si inizia
bene. A metà volo, dopo un annuncio della hostess, c’è una voce francese che
dice cose che non capisco. Deve essere il nostro uomo, che ritroveremo ai
bagagli. L’organizzazione e il mondo urbano non sembrano essere i suoi punti
forti, speriamo che sui ghiacciai vada meglio.
A Reykjiavik si cazzeggia un po’ e Ben inizia a fare
l’inventario del suo materiale tecnico e a compararlo con il mio, cosa che fa
da quando gli ho aperto gli occhi sul magnifico mondo dell’attrezzatura da
montagna. Questa volta sembra convintissimo di avermi battuto su tutti i
fronti. La punta di diamante della sua attrezzatura è un cappellino con rete
anti-zanzare integrata con cui non posso competere.
A Reykjiavik incontriamo anche gli altri compagni di
sventura: un professore di chimica svizzero che ha già fatto un giro in
solitaria in Groenlandia e una coppia di avvocati-maratoneti francesi che
sembrano un catalogo ambulante di materiale super-tecnico da montagna. Ben
critica in sordina le scarpe da ghiacciaio della ragazza giudicandole troppo
pesanti e vantandosi di aver scelto le sue vecchie scarpe Raichel, marca nel
frattempo scomparsa.
La mattina comincia con la spartizione di tonnellate di
formaggio, principale fonte di cibo nei prossimi giorni. Poi si prende un volo
per Constable Point, ovvero una pista sterrata sulla costa orientale della
Groenlandia circondata da mare, roccia e ghiaccio. I passeggeri dell’aereo si
dividono in due grandi categorie: da una parte gli Inuit (Eschimesi) e i loro
amici e benefattori e dall’altra parte dei masochisti dell’estremo che pagano
delle piccole fortune per farsi del male e soffrire il freddo. Nel caso
specifico si tratta del nostro gruppo e di un gruppo di pazzi francesi che
risaliranno la costa verso nord in kayak in totale autonomia.
Tra l’aeroporto e il villaggio di Ittoqqortoormiit (no
non è un errore di battitura, si chiama proprio così) non c’è strada, né un
ponte che permetta di attraversare il fiordo. L’unico modo per andarci è
prendere un elicottero che fa la spola portando ogni volta sei passeggeri.
L’organizzazione del trasporto è molto aleatoria e la flemma è d’obbligo. Se
non fosse per il fatto che siamo oltre il circolo polare penserei che siamo in Africa
centrale.
Il rumore di pale dell’elicottero è assordante quando
l’elicottero si stacca dolcemente da terra e sorvola il fiordo e i ghiacciai
che vi si gettano dentro. Il viaggio dura quindici minuti, ma varrebbe la pena
rimanere in aria per delle ore ad ammirare il paesaggio.
Ittoqqortoormiit è un villaggio di 400 anime in cui le
case sono tutte uguali, tranne che per il colore. Sembra di vivere nel paese
dei Puffi. Cosa faccia la gente tutto il giorno rimarrà un mistero insolubile.
Ad Ittoqqortoormiit c’è una sola guesthouse gestita da Jennifer, canadese con
la passione dei cani da slitta, che ci spiega tutto quello che dobbiamo sapere
sul posto. Il punto principale del briefing è la presenza di un ladro – il
ladro ufficiale del paese – di cui bisogna evitare l’ingresso nella guesthouse.
Il ladro viene sistematicamente condannato dal giudice volante che arriva ogni
tanto, ma visto che non c’è prigione rimane in libertà. Ittoqqortoormiit è
l’emblema delle pene alternative.
Il resto del giorno è dedicato ad aprire i pacchi di
provviste e a spartirsi il peso aggiuntivo. Scopriamo che la guida non conosce
il posto e la cartina di cui dispone è praticamente una fotocopia di un atlante
geografico. Si discute se portare o meno la corda, che viene approvata a furor
di popolo. Veniamo anche dotati di bengala anti-orso sulla cui utilità ho
qualche dubbio, nonché di fucile a pallettoni, anch’esso anti-orso, sempre che
si riesca a sparargli prima che lui ti mangi. Il peso totale del mio zaino a
pieno carico sarà di circa 25 Kg.
La partenza è alle 9 di una domenica mattina. Ittoqqortoormiit
è completamente deserta causa festeggiamenti della sera precedente. Non abbiamo
ancora oltrepassato l’ultima casa che la mia schiena inizia a scricchiolare
come una vecchia trave mangiata dai tarli. Il tempo è nebbioso e prendiamo una
vaga direzione nord-est. Non si vede niente e ci si ferma ogni tanto a prendere
dei punti col GPS. Quando ci fermiamo ho la forza di guardarmi attorno e mi
trovo improvvisamente sulla luna. Una distesa di rocce quarziche è ricoperta da
licheni neri. Ogni tanto appare qualche minuscolo fiorellino viola, una cacca
di lepre polare e anche dei miracolosi mirtilli che pendono da una minuscola
piantina di pochi centimetri d’altezza.
Camminiamo sulla roccia e sulla neve e le gerarchie del
fiato si rivelano alla prima salita. Lo svizzero e i due francesi sembrano
correre leggiadri sulla neve, io li seguo affaticato mantenendo un certo
contegno e Ben arranca con la lingua di fuori. Ha smesso di fumare il giorno
prima e non sembra vivere uno dei suoi giorni migliori.
Verso l’una la nebbia scompare e ci lascia finalmente
vedere il paesaggio: a nord la calotta coperta di neve che costituirà la nostra
meta peri prossimi due giorni e a sud un mare di un blu irreale attraversato da
iceberg di diverse dimensioni e forme. Verso metà pomeriggio si alza il vento e
di colpo fa freddo. E’ ora di trovare un posto per la notte. Montiamo le tende
su uno spiazzo di neve con vista mare. I cinque cani da slitta che ci hanno
seguito da Ittoqqortoormiit si sdraiano sulla neve e si addormentano
all’istante. Non hanno bisogno di zaini, sacchi a pelo, giacche a vento o creme
solari. Neanche di cibo a quanto pare, visto che non ne hanno chiesto e non ne
hanno ricevuto (lo abbiamo appena per noi). La cena è a base di gulash
liofilizzato, minestra knorr e cappuccino solubile. La vista in lontananza è la
ciliegina sulla torta che non c’è.
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