La sveglia suona alle 6.45. La notte è passata tra sogni inverosimili e tentativi vani di chiudere i pochi orifizi del sacco a pelo. Sforzo inutile visto che il freddo viene dal basso. Sarà forse un’ovvietà ma la neve è fredda, soprattutto quando ci si dorme sopra, comunque il mio sacco a pelo ha tenuto, quello di Ben – a giudicare dalla faccia – non proprio. Più che per il freddo è irritato dal fatto che si vede la prima crepa nella sua attrezzatura.
La colazione è spartana: muesli secco e tè. La meta della mattina è arrivare in cima alla calotta. La salita è dolce, non ci sono crepacci. Più per divertimento che per motivi di sicurezza ci incordiamo. Chi si diverte per davvero sono i tre cani superstiti (due sono tornati indietro) che credono che la corda sia un nuovo originalissimo gioco. Volano urli, partono bastoncini e i cani trovano qualcos’altro con cui giocare.
Arrivati in cima alla calotta scendiamo per il versante sud-est alla ricerca del mare. Scendere nella neve è sempre un piacere, perché ricorda un po’ lo sci. Nella discesa scompare uno dei tre cani e rimangono in due. Ben – che è tradizionalmente sempre più gentile con i cani che con gli esseri umani – gli dà qualche crosta di formaggio, sotto lo sguardo sospettoso dello svizzero Romain che quasi quasi l’avrebbe mangiata lui, uomo perennemente affamato che finisce tutto il cibo che resta.
Alla fine della discesa arriviamo in una piccola baia in cui il ghiacciaio si getta nel mare. Al largo una miriade di iceberg e la banchisa di ghiaccio che tra poche settimane smetterà di sciogliersi e inizierà a riformarsi, per la gioia degli orsi polari. Speravamo di trovare una spiaggia ma la costa è ripida e rocciosa. Jeremie, il francese superequipaggiato, si dice sicuro di aver visto a poco meno di un chilometro uno spiazzo ricoperto di soffice torba che diventa il nostro miraggio per la sera. I chilometri saranno almeno tre e la torba una distesa di sassi, ma non c’è niente di meglio.
Come tutte le sere il menù è fisso. Si inizia con una minestra in bustina e poi si continua con porzioni dai nomi altisonanti tipo “tajine di pollo all’orientale” o “goulash di manzo con riso”. Nella realtà si tratta di un misto tra cibo per cani e vomito di cammello.
Tutto quello che entra deve anche uscire. Ci siamo accampati in un immenso piano coperto di sassi. Per trovare un po’ d’intimità bisogna fare chilometri. L’ora frizzante della sera intima massima velocità e precisione nei movimenti. L’escursione nordica è caldamente sconsigliata agli stitici.
Memore del freddo della notte prima, mi vesto come un pinguino prima di infilarmi nel sacco a pelo. Inizio presto a sudare. Il problema di questa notte non sarà il freddo quanto piuttosto il materassino che si sgonfia facilitando il contatto tra le mie vertebre lombari ed una grossa pietra spigolosa. A mezzanotte mi sveglio. Il cielo è illuminato a giorno.
La mattina c’è una sorpresa. Tutta la banchisa di ghiaccio che si trovava al largo si è spostata sotto costa ed il mare non è più blu ma bianco.
Grazie ad un’idea geniale che mi è venuta il giorno prima, in preda a crampi ai polpacci, la giornata di oggi sarà dedicata ad un’esplorazione della costa verso nord senza zaini. Lasciamo dunque le tende montate e camminiamo leggeri come piume. Abbiamo anche il tempo di guardarci attorno e fare foto. I due cani superstiti vagano in cerca di cibo, trovando qualche ossa di lepre polare che genera liti furibonde tra i due.
La costa est della Groenlandia è a prima vista un territorio terribilmente inospitale, la vita sembra impossibile. Eppure qua e là ci sono segni inequivocabili del passaggio di animali: una piuma, le corna di una renna, escrementi di animali che generano supposizioni tra la ciurma. Ad un certo punto una lepre bianca ci appare a pochi metri. Ci avviciniamo tutti per fare foto . La lepre ci vede ma non si muove. E’ convinta che il pelo bianco la renda invisibile. Il problema è che è seduta su pietre nerissime. Avrà comunque la reazione di scappare a gambe levate all’accorrere dei cani che tenteranno un’improbabile caccia, tornando indietro con la lingua che tocca per terra.
Il sole esce da una nuvola, il vento cala: il tempo perfetto per una pennichella. I cani sono distrutti e iniziano a russare. Romain lo Svizzero, con la pancia piena di formaggio, si unisce al concerto per trombe e tromboni.
Tornati al campo è giorno di abluzioni. Dopo tre giorni di marcia senza lavarci profumiamo tutti di gorgonzola. Per minimizzare l’esposizione all’acqua gelida decido di lavarmi per pezzi e soprattutto di asciugarmi immediatamente. Questa è senza dubbio la doccia più rapida e più fredda che abbia mai fatto. Ho anche il tempo per riparare il materasso, immergendolo nell’acqua come se fossa la camera d’aria di una bicicletta.
La buona notizia della mattina è che il rattoppo del materassino ha tenuto. La cattiva è che c’è la nebbia. In ogni caso la camminata lungo la costa è splendida: camminiamo sulle rocce, poi sulla neve, poi ancora su roccia e neve, finché non arriviamo ad un torrente troppo profondo per attraversarlo con gli scarponi ai piedi. Ci mettiamo quindi i sandali per il guado. La coppia francese superaccessoriata tira fuori il coniglio dal cilindro: dei calzini in neoprene per attraversamento di guadi gelati, mai più senza.
L’acqua è effettivamente gelida. All’inizio è una sensazione quasi piacevole, poi diventa fastidiosa, infine una miriade di spilli che si conficcano nella carne. I cani sono troppo bassi per attraversare il torrente per cui ne prendiamo uno io e uno Ben e si continua al completo.
Al di là del torrente c’è un uccello che fa finta di avere un’ala spezzata. I cani accorrono in festa e quando stanno per arrivare l’uccello spicca il volo. Ha il nido lì vicino, ma le sue uova sembrano sassi e i cani non se ne accorgono. Abbiamo i cani più polli della Groenlandia.
La costa è un susseguirsi di insenature, con il mare ancora pieno di iceberg. Poco dopo troviamo un bello spiazzo per piantare le tende vicino al mare. La sera, dopo cena, Ben e io iniziamo a parlare di una nuotata nel mare. La cosa da scherzo si fa più seria e dopo pochi minuti siamo entrambi in mutande che ci gettiamo in acqua. Vado verso un piccolo iceberg e ci monto sopra. Solo più tardi scoprirò due enormi escoriazioni sulla pancia e sulla coscia. Sul momento fa troppo freddo per sentire dolore. Ogni idiozia si paga in moneta sonante.
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