venerdì 25 marzo 2011

Bujumbura e Kigali


Se qualcuno fosse in disperata ricerca di attenzione, consiglio di fare jogging per le strade di Bujumbura. Non ci sarà guardiano di casa, o studente di ritorno dalle lezioni, o venditore ambulante che non ti guarderà con l'aria dubitativa di chi sta pensando "ma chi te lo fa fare?"
Hanno probabilmente ragione, ma dopo due giorni di giri in macchina per i quartieri ordinati e silenziosi a caccia di campi da calcio con più terra che erba, era ora di muovere un po' i muscoli. Le strade sono sterrate e in giro c'è gente che vende carbone, pomodori, oppure rimane in attesa che qualcuno prenda il loro bici-taxi, versione più lenta ma molto più economica sia del moto-taxi che della macchina-taxi.
A Bujumbura c'è un parco in cui l'elite un po' pingue della città va a perdere i chili accumulati con l'eccessiva opulenza, assieme a qualche cooperante afflitto da sensi di colpa. Il parco è verdissimo e ordinato: la disciplina dà i suoi frutti. Quasi tutti corrono o camminano in senso antiorario, come avviene in tutte le prigioni del mondo, a tutte le latitudini, per una ragione che ancora non capisco.
Mentre corro e ansimo tra gli alberi di mango, il sole diventa rosso. Da qualche parte, in lontananza, verso il Congo, si immerge nel lago Tanganica. Se fossi amante della retorica direi che l'aria sa di Africa.

Ho ritrovato Kigali ancora più pulita e disciplinata di quando l'avevo lasciata, sette anni fa. Ho stentato a riconoscere alcuni quartieri da quanto sono cambiati. Il cambiamento lo si vede soprattutto dalla vita notturna: adesso esiste. All'inaugurazione del Must, il nuovo locale chic, c'é tutto il beu monde di Kigali. I proprietari non hanno esagerato con le belle e facili ragazze che popolano le altre discoteche: qui si ricerca la classe.
Dal bar arrivano fiumi di birra per le persone di poca fantasia, mentre per i più raffinati si aprono bottiglie di Moët et Chandon oppure l'immancabile Black (Daniels s'intende). C'é una nuova generazione che sta prendendo gusto all'ostentazione, ai simboli del successo. A due passi dall'Hotel Milles Collines, teatro della battaglia tra la vita e la morte di centinaia di persone che vi erano asserragliate durante il genocidio, si respira l'aria fresca della sera, mentre due cantanti (lui in completo grigio, lei in abito da sera) intrattengono gli ospiti mescolando pop commerciale a musica congolese.
In fondo è per questo che la gente lotta per sopravvivere a guerre e catastrofi: avere il lusso della frivolezza, dimenticare la morte.

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