domenica 21 ottobre 2012

Tutte le vie portano in cima


C'è una parete sopra Näfels, nel cantone di Glarus, che sembra stata creata dal dio della Montagna per il piacere degli alpinisti. E' una specie di largo ferro da stiro alto duecento metri striato da innumerevoli crepe verticali. La roccia è un calcare ruvido e bianco, su cui si riesce facilmente a salire in aderenza. Pensavo di non incontrare nessuno in ottobre da queste parti, ma dal parcheggio risculta chiaro che ho poca immaginazione. Nel paese dell'arrampicata, mai sottovalutare la densità di popolazione in una parete esposta a sud in una domenica di mezzo autunno.
Per arrivare in parete bisogna camminare un'oretta in mezzo ai prati e agli alberi. In questo periodo i colori sono semplicemente maestosi: un misto di rosso intenso, giallo opaco, il blu del cielo senza una nuvola e il verde scuro delle conifere. La mia compagna di scalata, Anja, arriva alla parete con un evidente fiatone. Non avere una vita sociale, come me, aiuta molto il sonno il sabato sera. Lei invece sembra avere degli amici a cui piace fare tardi.
Prima che qualcuno ci rubi la via, mi apposto di fronte al primo spit ed inizio il laborioso processo di preparazione finché sono pronto per l'attacco. Mi rendo subito conto che ho sottostimato l'effetto caldo. Non c'è un alito di vento ed il sole splende nel cielo. Dopo tre movimenti ho gli occhi che bruciano per il sudore misto a crema solare. Dopo due tiri di corda ho la gola arsa e l'acqua scarseggia. Per di più Anja decide di fare tutti i tiri da seconda, per cui ho ben poco tempo per rilassarmi. In compenso mi rendo conto che la responsabilità mi fa sentire più leggero . Lo avevo notato per la prima volta facendo parapendio: la prima volta che ho volato da solo è stata anche la prima volta che non ho avuto paura (una delle molte cose che mi distinguono dalle persone normali).
Dopo tre tiri sono esausto e con una sete tremenda. Non posso che pensare a Walter Bonatti, il cui libro ho finito l'altro ieri in preda ad una modesta crisi d'insonnia. Nel suo libro i circa centro metri di dislivello che abbiamo appena fatto non meriterebbero nemmeno una nota a pié di pagina. Ma in fondo l'arrampicata non è che una sfida con se stessi, o con quello che siamo nel momento che la affrontiamo.
Si va avanti, ma siamo raggiunti da una coppia svizzera che è leggermente più veloce di noi. Invece di aspettare alla sosta più in basso, comodamente sistemati (si fa per dire), uno dei due arriva sempre mentre io sto per partire, il che crea una certa confusione di corde, allonges, rinvii che mi piace poco, visto che il primo chiodo è anche il più pericoloso. La via sembra molto più difficile di quello che dice il libro e temo di avere preso quella a fianco. Su carta sembra sempre tutto evidente, ma poi non ci si capisce mai niente.
Nell'ultimo pezzo scompare ogni parvenza di protezione. Non c'è un chiodo (i famosi spit odiati da Bonatti) a pagarlo oro. Tocca continuare in modo tradizionale, usando friends (degli aggeggi che si conficcano nella roccia e che più si tira la corda più si dilatano), nuts (dei coni di metallo attaccati ad un'asola) e fettucce varie. E' la prima volta che arrampico in modo tradizionale e benché il tratto sia il più facile della via, è un vero piacere liberatorio: puoi decidere tu dove fissare la tua protezione (se la roccia te lo permette). Benché sia in teoria più pericoloso, non ho la minima paura (vedi sopra). Insomma arriviamo in cima e la vista è uno spettacolo: da un lato si vede la valle di Glarus, dall'altra il lago di Zurigo. Gli alberi nella vallata sembrano dipinti da Monet.
Arrivati in cima tocca scendere, ma - non avendo letto bene la guida - mi ritrovo con una corda troppa corda per le calate in corda doppia. Tocca scendere a piedi, il che vuol dire camminare con quelle specie di scarpe da balletto che abbiamo addosso, che ci fanno già un male cane. Facendo uscire il tallone si ha un po' meno male, ma la presa sui sassi e sull'erba non è un gran che. Ogni tanto conviene sedersi e farsi una bella slittata sul pendio ripido.
Arrivati ai piedi della parete mi rendo conto che avevo lasciato i miei pantaloni incustoditi, con dentro le chiavi di casa, la patente, i soldi e il bancomat. Siamo in Svizzera e avrei potuto lasciare una banconota da 200 euro e un braccialetto d'oro che li avrei ritrovati al ritorno.
Sono ufficialmente distrutto.

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