martedì 2 aprile 2013

Queste le prime righe del romanzo "Radice di due"

Mi svegliai in un bagno di sudore e sperma. Erano scomparse le cosce della Marini, le sue labbra gonfie, le tette, il culo, tutto. Rimaneva un letto sfatto e una stanza buia. Una sveglia mi richiamava alla realtà – o a ciò che consideriamo tale – implacabile come una ghigliottina. Un odore acre e familiare saliva dalle mutande verso il naso. La delusione scendeva dal mio cervello verso i miei genitali depressi. Per una logica ovvietà la doccia prevalse sulla colazione e mi ritrovai ad invertire il mio rito mattutino: prima il sapone e poi il caffè. 
Pioveva, era mercoledì e fuori dalla finestra c’era Castelfranco Veneto, più insipida del solito. La strada era bagnata, la pioggia aveva formato delle pozzanghere irregolari e profonde da cui schizzi di acqua sporca si alzavano al passaggio di vecchie utilitarie guidate da uomini con la faccia nera e berretti calcati fino alle sopracciglia. Da un po’ di tempo il triveneto produttivo non era più quello della mia infanzia, ovvero: soppressa, lavoro, Mercedes ed evasione fiscale; tranne per l’evasione fiscale s’intende. 

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