Se Saint Exupery si fosse spostato per l'America Latina via terra, invece che "Vol de Nuit" avrebbe scritto "Bus de Nuit". Invece di descrivere immensi paesaggi illuminati dalle stelle avrebbe descritto l'odore di sudore di un bus stracarico, la gente spettinata ed insonnolita, il caldo e poi il freddo, il vecchietto fatto alzare dal suo posto perchè qualcun altro aveva pagato di più, la donna seduta in mezzo al corridoio con il bambino tra le braccia. Un bambino che non fa rumore, non un pianto, non un lamento. I bambini del sudamerica, come quelli africani, non piangono mai. Rimangono attaccati alla schiena della madre, avvolti in una coperta multicolore come piccole mummie.
Sucre è la città in cui l'ennesimo viaggio allucinante finisce, verso le sette di mattina. Anche con gli occhi semisocchiusi dal sonno appare in un bianco splendore, quasi angelico. E' una delle città coloniali più belle che ho visto fin'ora, non solo per gli edifici e le strade, ma anche e soprattutto per la gente nelle strade, i mercati - quelli grandi e quelli piccoli - e una temperatura da eterna primavera nonostante i 2700 metri di altitudine.
Sucre è la capital constitucional della Bolivia, anche se non la sede del governo. Quando la nuova costituzione ha sancito La Paz come capitale (per me poco più che un'ovvietà) qui c'è stata una vera e propria rivolta, guerriglia urbana, gomme bruciate, lacrimogeni e morti. Sembra strano, vedendo la gente camminare numerosa a tutte le ore con calma olimpica, immaginarsi questa città messa a ferro e fuoco.
A Sucre c'è la Casa della Libertà. Tranquilli, tranquilli, non agitatevi, Berlusconi non c'entra. La libertà è quella acquisita dagli spagnoli, la casa è il principale museo delle reliquie rivoluzionarie (pochine a dire il vero). Essere nazionalisti in Bolivia è difficile, un po' come esserlo in Italia: non abbiamo molte cose di cui gloriarci. La Bolivia ha fatto tre guerre, perdendo regolarmente pezzi di territorio ogni volta (a beneficio di Cile, Brasile e Paraguay). Per contenere i ritratti dei presidenti ci vogliono ben due sale, perchè ce ne sono stati centinaia. Si inizia con il ritratto di Simon Bolivar, con delle basette da far invidia a John Lennon per finire con Evo Morales, con dei capelli a forma di casco di banana e i tratti da indio dell'altipiano. In mezzo facce di semisconosciuti, con sottotitoli tipo: "gobierno de facto", "gobierno ad interim", "gobierno constitucional", "gobierno de unidad nacional". Nel museo c'è una sala dedicata al mariscal Sucre, eroe dell'indipendenza , che fu costretto a sposarsi per procura perchè Bolivar lo mandò per sei anni a liberare praticamente tutta l'America del Sud. Un anno dopo aver potuto vedere sua moglie fu assassinato nel sud della Colombia mentre tornava a casa, con l'intenzione di rinunciare alla vita pubblica.
A sucre ho passato tre giorni a curarmi il raffreddore, a vedere le impronte dei dinosauri, a girare per la città, a vedere un film troppo intellettuale all'Alliance Francaise assieme a due altri spettatori, a leggere "The cathcher in the rye" di Salinger e a guardare la televisione. Siiiiiiiiii, l'infinito piacere di fare zapping satellitare tra documentari di Discovery Channel sugli squali, partite di baseball su ESPN e le telenotizie sempre sensazionali della CNN. Nonostante tutta questa abbondanza iniziano già a mancarmi gli spot elettorali e i programmi religiosi della TV brasiliana.
Libertad y teledependencia
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