lunedì 18 luglio 2011

L'inizio e la fine


Ed è finita così, con una festa in un locale da fighetti del centro di Francoforte, unica concessione ad un minimo di lusso. Non ci sono più gli alti dignitari, i VIP che si muovono su binari separati dal resto del mondo. Non ci son più i riflettori, i microfoni, le telecamere, i pannelli pubblicitari e la musica a tutto volume. I fuochi d’artificio sparati dal tetto dello stadio e la pioggia di coriandoli dorati di un’ora prima fanno già parte della storia, sono stati messi in un cassetto dei ricordi del grande armadio delle emozioni.

E adesso si balla, al ritmo di musica da discoteca commerciale, innaffiati da litri di vino, birra e mojito, si balla. La regina della serata è Steffi Jones, fino a poco tempo fa conosciuta solo dai pochi eletti che seguivano il calcio femminile tedesco. Fosse un uomo, il suo nome sarebbe famoso come quello di Beckenbauer, Ballack o Mathäus. Ora sta vivendo la sua ora di gloria, vera vincitrice di questa coppa del mondo femminile di cui è l’organizzatrice. L’evento ha battuto tutti i record d’ascolto televisivo, ha fatto la storia (prima vittoria di una squadra, il Giappone, che non sia europea o americana), ha segnato l’inizio di un’epoca, ci ha regalato una delle finali più emozionanti di sempre.

E sono quasi tutte donne quelle che ballano, molte lesbiche, poche femministe. E non hanno complessi e non hanno rivendicazioni, se non quella di lasciarle fare e lasciarle giocare, come vogliono loro. E poco importa se quasi tutti i portieri del mondiale hanno fatto delle papere mostruose, o se la precisione dei passaggi ha lasciato a desiderare o se più di un disimpegno difensivo è parso a volte ridicolo. Questo non è il tempo delle analisi tecniche o dell’esegesi del gioco. Questo è il tempo di aprire le narici all’aria di un gioco nuovo, fresca e pura come quella che si respira sulle Tre Cime di Lavaredo ad inizio primavera.

Anche questo finirà. Si parla già di professionismo, di sponsor, di marketing, di comunicazione, di utilizzo strategico dei social media. I potenti del calcio del futuro indosseranno magari delle gonne ma non saranno immuni dalle enormi pressioni politiche ed economiche e all’attenzione mediatica ossessiva che caratterizza il calcio.

Ma questo domani, con mente più cinica. Oggi è più forte la leggerezza di Steffi Jones che balla con le segretarie, con il personale amministrativo, con i volontari, con chiunque le capiti a tiro. Perché nonostante sia la star della serata, ha solo voglia di saltare e giocare come una qualsiasi ragazzina in un prato di periferia.

martedì 5 luglio 2011

24 ore

La giacca blu che mi faceva assomigliare ad un ferroviere non bastava per risparmiarmi dal freddo dell'inverno australe, neanche con l'ausilio di un gilet grigio. Non erano ancora le sei di mattina e io mi trovavo nella sala VIP dell'aereporto di Harare, in attesa del volo presidenziale. Nella stanza a fianco, degli uomini biondi con la faccia da sicari camminavano avanti e indietro nervosamente. Avevano dei completi grigi gessati e delle scarpe lucide policrome, lo stile della diplomazia russa.
Un'alba d'altri tempi si stava lentamente impossessando della pista dell'aeroporto e una tazza di té tentava di scaldarmi, senza riuscirci. Un jet privato faceva sollevare una minuscola nuvola nel momento in cui i pneumatici toccavano terra. Non era il jet che aspettavo io, era quello dei russi. Scendeva un uomo con una giacca blu brillante come quella di un prestigiatore, i pantaloni bianchi, le scarpe non ricordo. Ad aspettarlo una carovana di macchine più corta di quella con cui ero arrivato io, che lo portavano via sgommando.
Ancora non sapevo che la mia foto era sulla prima pagina del giornale e che il mio nome era ripetuto almeno venti volte nell'articolo che la seguiva. Ero atterrato ad Harare il giorno prima, dopo aver viaggiato per venti ore. La foto scattata all'aeroporto non era delle migliori, ma il giornalista aveva trascritto parola per parola tutto quello che avevo detto. Non potevo lamentarmi troppo. Davanti a me c'era una giornata iniziata troppo presto che sarebbe finita troppo tardi, sicura e prevedibile come una passeggiata in un campo minato.
Ma tutto passa, anche le visite presidenziali. Di nuovo in aeroporto, questa volta per prendere il quarto di sette voli che mi avrebbero portato a Douala e poi a Zurigo, ho aperto il giornale. Di me poca traccia (solo il mio nome confuso tra quelli dei miei colleghi). In compenso a pagina due c'era la foto dell'uomo dalla giacca blu brillante venuto a parlare di investimenti minerari e agricoli. La didascalia diceva 'presidente della commissione esteri del parlamento russo', inviato del presidente Medvedev. La foto lo ritraeva mentre dava in regalo a Mugabe un kalashikov di cristallo.

sabato 2 luglio 2011

La strana storia del dottor DSK

Dominik Strauss-Khan non è più un violentatore. E' solo un fedifrago come ce ne sono tanti, al potere e no. La sua vicenda è stata un feuilletton, un'enciclopedia del gossip e un caso socio-antropologico. Ho letto articoli su DSK in vari giornali, francesi, italiani, americani. A parte gli articoli di cronaca che riportavano tutti esattamente le stesse informazioni, gli altri - gli editoriali per intenderci - si dividevano in due categorie. Uno si aspetterebbe che - essendo DSK un socialista - le due categorie fossero politiche, per esempio: la sinistra lo difende e la destra lo attacca. Invece no. Oltrepassando barriere culturali, economiche, sociali e ideologiche si è arrivati dritti dritti a un bel "donne contro uomini". Con le prime che si sono lanciate in veementi anatemi non solo contro DSK, ma anche contro coloro che avanzavano il principio di innocenza (una ridicola scusa secondo loro) e i secondi che - contro ogni senso del pudore - dicevano più o meno velatamente un "ma che sarà mai!".
La polarizzazione delle opinioni a seconda del sesso è stata tale da offuscare quel minimo di lucidità che contraddistingue quasi sempre gli intellettuali francesi e americani (degli italiani non parlo perché non esistono). I giornalisti non scrivevano più con la testa, ma con la pancia, o meglio con i genitali. La loro identificazione con la presunta vittima o con il presunto aggressore, per quanto mascherata da figure retoriche e riferimenti colti, era totale, quasi infantile. La maggior parte degli uomini sa cosa sia il desiderio e la frustrazione sessuale, mentre la maggior parte delle donne ha sperimentato - da vicino o da lontano - la violenza maschile.
In fondo siamo tutti porci e tutte frigide.