domenica 28 agosto 2011

Big game

Il campo non è quello della finale della coppa del mondo. L'erba è secca, ci sono un paio di pozzanghere piene di fango, buche, escrementi di impala. Ci sono una decina di spettatori della specie homo sapiens sapiens e qualche dozzina di altre specie: scimmie, facoceri e bufali, più concentrati a bere lontano dai predatori che sul risultato della partita. Una porta è formata dalle ciabatte del segretario generale della federazione di calcio della Namibia (ex portiere della nazionale per la cronaca). L'altra è formata dalla borsa del suo collega dello Zimbabwe. In mezzo giocatori di varie razze e colori: dal quasi rosa al quasi nero. L'unica cosa che richiama una vera partita di calcio è il pallone: Adidas, nuovo di fabbrica. Per il resto c'è gente che gioca in calzini, altri in pantofole, qualcuno con dei mocassini. Chiaramente i pochi che hanno delle scarpe da calcio hano un certo vantaggio, come quelli che pesano meno di cento chili e quelli che hanno meno di settant'anni.
Il mio ruolo, come sempre - dal Rwanda alle Galapagos - è quello del giocatore di quantità (si fa per dire). Corro in lungo e in largo, scivolando nel fango e coprendomi di polvere passando per le buche scavate dai facoceri. Faccio anche un gol, convalidato dal compiacente arbitro-collega.
La partita finisce sul 2 a 2 (anche qui grazie all'arbitro). Poi tutti negli spogliatoi. A cena c'è chi zoppica, mentre c'è addirittura chi arriva in sedia a rotelle causa strappo muscolare.

sabato 13 agosto 2011

Street Parade


Una volta all'anno Zurigo impazzisce. Succede in un fine settimana di mezza estate, nel periodo più sonnolento dell'anno. A prima vista non sembra esserci nulla di strano. Le strade sono poco frequentate come tutti i sabati, i tram girano regolari, poco traffico. Ma più ci si avvicina al lago più ci si rende conto che non è un giorno come gli altri. Iniziano ad esserci transenne, poilizia, traffico bloccato. Si inizia anche a vedere gente, sbucata da chissà dove, che cammina tutta nella stessa direzione, chi in gruppo chi da solo. E la gente è vestita in modo strano. Le ragazze sono in minigonna oppure hanno dei jeans attillati e indossano la parte sopra del bikini. Ci sono parrucche rosso fuoco, o verdi, o blu.
Oggi a Zurigo c'è la Street Parade, il festival di musica techno più conosciuto e frequantato d'Europa. Una sfilata di carri pieni gente che balla alla musica di dj famosi. La carovana si muove a lentezza di lumaca a bordo del lago, in mezzo ad una folla oceanica, vestita strana, che balla e beve e che si sfoga nei modi più assurdi e kitch. Centinaia di migliaia di persone si ritrovano ad ostentare corpi mezzi nudi - alcuni accuratamente scolpiti con estenuanti sedute di palestra, altri pateticamente flaccidi e bianchicci. L'ostentazione e la provocazione sono così sistematiche da risultare conformismo, ripetizione banale e senza fantasia di clichés visti milioni di volte. Ii tatuaggio di rigore e il piercing diventano l'anello di congliunzione tra la destra e la sinistra, tra gli svizzeri tedeschi e i gruppi di lombardi con zaino Invicta in spalla.
Ma come dicevano i latini, semel in anno licet insanire, e la funzione sociale della Street Parade è chiara. Dopo il panem tocca ai circenses. E  se serve a far sfogare qualche banchiere un po' troppo rigido va bene anche questo. Nella folla si osa di più, la musica a palla dà coraggio, la birra o qualche pillola ancora di più. E così la gente si parla, i ragazzi rimorchiano le ragazze, che rispondono, sorridono e magari ballano anche . Poi domani ritorneranno tutti nelle loro divise ufficiali e non alzeranno gli occhi dal loro giornale mentre prendono il tram, senza il rischio di incrociare lo sguardo di uno sconosciuto e ancore meno di dovergli parlare.
Mentre faccio foto ad un uomo vestito da donna e ad una donna vestita da troia con lo sguardo scientifico di un antropologo, mi viene in menta l'aneddoto che mi aveva raccontato un ex-collega. Si trovava in Afghanistan all'epoca ancora controllato dai Talebani che avevano vietato la musica perché contraria al Corano. Ad un posto di blocco gli avevano trovato dei CD e gli avevano chiesto se si trattava di musica. Lui aveva mentito dicendo di no. I Talebani avevano preso i CD ed erano andati ad ascoltarli per vedere se era vero. Quando sono tornati hanno restituito i CD scusandosi e aggiungendo "avevi ragione, è solo rumore". I CD contenevano musica techno.

venerdì 5 agosto 2011

Scampoli di Namibia

Non potevo pensare – sorvolando i fuochi d’artificio che scoppiavano nel cielo di Zurigo mentre l’hostess del volo Swiss per Johannesburg annunciava un menu speciale per il giorno dell’indipendenza svizzera – che un paio di giorni dopo mi sarei ritrovato a Whindoek, seduto di fronte a Frank Frederics (quattro medaglie d’argento alle olimpiadi nei 100 e 200) e a Michelle McLean (Miss Universo 1992).

Era la festa di compleanno di Hage, primo ministro della Namibia indipendente, attuale ministro del commercio e papabile per le prossime presidenziali. Ci ero finito in virtù della mia qualità di improvvisato VIP di secondo piano, dopo essere stato intervistato dalla televisione di stato e aver ascoltato il mio nome alla radio, associato a tutta una serie di competenze e di esperienze professionali che mi erano del tutto sconosciute.

C’erano sessanta tavoli nella sala, ogni tavolo aveva dieci sedie. Se dovessi invitare seicento persone al mio compleanno non mi basterebbe facebook. Ma chissà, magari a settant’anni le cose potrebbero cambiare.

Attorno a me c’era tutto il gotha del mondo politico, imprenditoriale, giornalistico e sportivo del paese. La cena doveva iniziare alle sette di sera, ma il primo piatto è arrivato verso le nove e mezza. Nel frattempo, una serie infinita di oratori si avvicendava al podio per rendere omaggio all’illustre festeggiato: discorsi spesso ripetitivi, a volte divertenti, quasi tutti un po’ stantii, come quando si legge con fare eccessivamente naturale una battuta scritta, corretta e riscritta varie volte.

Ministri, parlamentari, eroi della resistenza, pastori protestanti, uomini d’affari ebrei, amici e parenti si avvicendavano e parlavano dell’esilio, della prigione, della lotta di liberazione del partito SWAPO contro il regime dell’apartheid, del movimento che ha portato alla nascita della Namibia moderna, dopo decenni di colonizzazione prima tedesca e poi sudafricana.

Nonostante l’autocelebrazione, la retorica, l’ideologia, l’obbedienza ai dettami del partito, gli aneddoti un po’ ammuffiti e il tono un po’ senile di quelli che parlavano, nell’aria si respirava l’orgoglio per ciò che la Namibia era diventata. Meno celebrata del Sudafrica di Mandela, ma forse più stabile sul lungo periodo, la Namibia è riuscita nel miracolo della transizione verso un regime aperto, tollerante, fondamentalmente democratico, senza cadere nel tranello della polarizzazione dello Zimbabwe o nella deriva della criminalità urbana di molte aree del Sudafrica.

Una piccola magia politica ed economica. Certo è che, tra tutte le loro qualità, i namibiani non hanno certo il dono della sintesi: il dessert è stato servito a mezzanotte e mezza, quando ormai tutti gli ospiti erano o mezzo addormentati o completamente ubriachi (in alcuni casi – come il mio – entrambe le cose).