Ho seguito la guerra in Libia da un letto d'albergo, mezzo appisolato, aspettando che fosse abbastanza tardi per spegnere la luce e dormire.
Ho visto una giornalista vestita da marine (giubbotto antiproiettile e elmetto ultimo grido) entrare a Tripoli in mezzo ad una folla festante: uomini barbuti che urlavano parole incomprensibili sparando in aria come dei deficienti. Qualcuno urlava "freedom freedom" e la giornalista - che non parlava una parola d'arabo ed era l'unica cosa che riusciva a capire - si è aggrappata a quel grido come una scimmia sull'albero: il popolo voleva libertà, spiegava con grande enfasi. Immagino non si sia chiesta cos'altro dicevano quelli che non sapevano neanche quella parola d'inglese.
Quando mi sono svegliato, poche ore dopo, la stessa giornalista aveva l'aria molto meno festiva (ma sempre con l'elmetto d'ordinanza in testa). Mi informava che nella notte c'erano state centinaia di morti, ma non sapeva dire dove, né come, né perché. Non aveva neanche delle immagini da mostrare e in studio si sono affacendati a mettere delle frecce sopra una cartina di Tripoli, fondamentalmente a caso.
La sera, la stessa giornalista (sempre bardata come Robocop) intervistava un garrulo ribelle che aveva in testa il cappello di Gheddafi. Spiegava in un inglese approssimativo che era entrato nella stanza da letto del dittatore e l'aveva trovato. Dallo studio confermavano attraverso foto di repertorio che il cappello era effettivamente quello del raìs. La giornalista dichiarava che il cappello era veramente quello. Tutti erano festanti.
La mattina dopo altri morti. Gheddafi non si sapeva dov'era, in compenso c'erano cecchini d'appertutto. Il cappello riappariva sulle prime pagine dei principali quotidiani che erano stati lesti a riprendere la notizia dalla televisione con grande senso dell'immaginazione. Nessuno però spiegava cosa cazzo stava succedendo a Tripoli.
Un altro giorno è passato e questa volta c'era un giornalista uomo, anche lui in versione Rambo. Si trovava in mezzo ad una battaglia e parlava sottovoce, come se qualcuno potesse sentirlo in mezzo al casino dei kalashnikov. Benché fosse in piena Tripoli, era incapace di spiegare chi sparasse contro chi e perché.
I servizi si sono accavallati per giorni: la piscina della figlia di Gheddafi, il bambino che ha perso lo zio, il ribelle che parla un po' d'inglese, il medico disperato. Ad un certo punto - in mezzo alla massa di barbe, kalashnikov e "Allah Akbar" - è apparsa anche una donna (l'unica che ho visto in giorni e giorni). Ha anche detto qualcosa di sensato, ma la giornalista non le ha fatto caso.
Dalla prospettiva di un telespettatore con una discreta conoscenza del Nordafrica (che tutti si ostinano a chiamare Medio Oriente) ho una sola domanda: a cosa serve mandare decine di giornalisti vestiti da militari e ricevere ore e ore di filmati se nessuno è in grado di dare la minima spiegazione di quello che succede?
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