L'arrivo in ogni aeroporto africano è un ritorno allo stato di natura, di pura lotta per la sopravvivenza. Chi esce per primo dall'aereo parte con un certo margine di vantaggio, ma non deve sedersi sugli allori ed è obbligato a mantenere il passo per non lasciarsi sopravvanzare dalla concorrenza, che magari ha più esperienza e conosce i corridoi a memoria, oppure sa che ci sono delle scale per cui non incastra la borsa del computer sopra il trolley, per poter essere più agile e scattante.
A causa di una porta aperta con un po' di ritardo, mi sono ritrovato nella risacca della massa di passeggeri appena sbarcati dal Boeing777 dell'Airfrance. Ho preso al volo un formulario della dogana e mi sono messo in una lunga (e probabilmente lentissima) coda, con l'idea di sfruttare il tempo d'attesa per riempirlo in modo sufficientemente legittimo per non essere rispedito indietro. Avevo già scritto il numero di volo e anche quello di passaporto quando ho sentito un pingue poliziotto chiamare ad alta voce "Fransesco", "Fransesco". In mezzo agli sguardi di odio e di invidia degli altri passeggeri sono uscito dai ranghi e l'ho seguito assieme a due altri privilegiati verso il controllo VIP: niente coda, niente formulario d'ingresso, niente faccia scorbutica da doganiere frustrato. Abidjian, mi sono detto, non è poi così male, soprattutto se conosci un mito del calcio locale.
La città mi ha accolto con un caldo soffocante. Come ad Accra, anche qui c'è un traffico infernale, che si snoda a destra e a sinistra della laguna che penetra profondamente nell'abitato dalla costa. Bella Abidjian non lo è proprio, ma si capisce subito perchè così tanti francesi l'avevano scelta come luogo dove vivere, prosperare e fare una vita da privilegiati cronici: il verde, il caldo, una certa aria da vecchio paradiso coloniale.
C'è calma adesso in Costa d'Avorio, più apparente che reale, ma almeno non si spara più. Tutti parlano ancora della "crisi", l'eufemismo per descrivere la guerra civile che ha opposto Gbabo a Ouattara e ha diviso il paese fin nei singoli quartieri delle città. Per strada ci sono ancora dei caschi blu annoiati e dei militari ivoriani che fanno la pennichella dietro a delle mistragliatrici. Il Golf Hotel, quartier generale dell'ex-oppositore Ouattara ha riaperto le porte, le garritte erette a sua protezione sono ancora lì benché ormai vuote, la città ha recuperato i cocci e ha ripreso a vivere.
Sono anche arrivati i cosiddetti "investitori". A fianco a me, a colazione, ne avevo due che parlavano tra di loro. Non ho capito in che ramo lavorassero (cacao? caffé? olio di palma? oro? telefonia?), ma dal loro piano di volo (New York, Iraq, Parigi, Singapore) ho dedotto che appartenessero più al famoso 1% che al resto del 99%.
E' sbarcato anche il Fondo Monetario Internazionale assieme alla Banca Mondiale. Erano a pranzo nel mio stesso ristorante, assieme ad una delegazione della Banca degli Stati dell'Africa Occidentale. Le nostre traiettorie si sono divise: loro sono andati a discutere di prestiti, finanza e investimenti, io invece sono andato a dare un'occhiata ad uno stadio in cui dei ragazzoni di 16-17 anni si dannavano l'anima per impressionare un allenatore norvegese venuto alla caccia di nuovi talenti da esportazione.
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