Quando Davide mi ha scritto che domenica si poteva fare un multipitch oppure andare ad arrampicare sul granito, la mia scelta era presto fatta: multipitch, per salire più in alto, sentirsi un po’ alpinisti (si fa per dire).
I preparativi sono stati stranamente accurati: materiale al completo, lettura della guida, sveglia all’alba, arrivo sul posto addirittura in anticipo sul previsto. Insomma sembravamo due veri scalatori. Peccato che poi ci siamo persi e ci abbiamo messo più di un’ora per trovare la falesia salendo e scendendo per vari sentieri del bosco di castagni. Quando infine siamo arrivati alla roccia eravamo rossi come dei peperoni e con un evidente fiatone.
Il sole, nel cielo nessuna nuvola, attorno a noi il silenzio, la giornata perfetta. Iniziamo a fare il primo tiro e, mentre faccio sicura a Davide dalla sosta, una coppia di sessantenni tedeschi arriva ai piedi dela falesia e si prepara a salire. Noi continuiamo per la mostra via, salendo per una parete appoggiata com più delicatezza possibile e stando attenti che non ci rimanga in mano qualche pezzo di roccia ballerina.
Mentre continuiamo ad andare su, veniamo presto superati dalla coppia di sessantenni tedeschi che, a discapito dei metodi un po’ retrò (sicura facendo passare la corda sulla spalla) sembra non avere tentennamenti: dei panzer.
Si arriva in cima, si fanno le foto, ci si stringe la mano. I tedeschi non si vedono già più, sono già scesi. Anche noi ci avviamo, decidendo di calarci in corda doppia piuttosto che prendere il comodo sentiero di rientro (sono io che insisto per seguire i dettami del mio libro di arrampicata, ormai odiato da tutti).
Per scendere in corda doppia si devono beccare i punti di calata, ovvero gli anelli in cui far passare la corda. La teoria è facile, la pratica un po’ meno, soprattutto se non si legge bene la guida e si scende con una corda troppo corta di dieci metri. In aggiunta non vedo un punto di calata, mi trovo troppo in basso e sono costretto a risalire. Poi scopro che l’anello c’è ma è più a destra di dove ero io. Prime bestemmie.
Mentre noi continuiamo la discesa, rivediamo apparire i sessantenni tedeschi, ripartiti per una seconda ascesa. Compare all’orizzonte anche una coppia ticinese, dall’apparente età di mille anni. L’uomo ha una panza così grande che sembra abbia ingoiato un pallone da basket, la donna sembra un ippopotamo. Ci sembrava di aver fatto l’impresa alpina e adesso manca solo che venga su qualcuno in sedia a rotelle.
I due pachidermi stanno salendo per la nostra via e ci costringono a una deviazione ulteriore. Quando lanciamo la corda sull’ultimo tratto ci accorgiamo che manca qualche metro ala fine. Scendo per vedere se c’è un’alternativa, senza successo. Mentre Davide passa la corda ad una sosta più in basso, rimango appeso ad un chiodo a guardare il paesaggio: le montagne illuminate dagli ultimi raggi di sole, il fiume che scende tortuoso nella valle.
Poi mi arriva la corda, scendo gli ultimi metri giusto in tempo per salutare la coppia tedesca già pronta a partire verso la macchina: hanno il doppio dei nostri anni ed hanno arrampicato al doppio della nostra velocità. Dei due pachidermi invece nessuna traccia. Li vedremo dalla strada, due puntini colorati ancora intenti a scendere quando ormai il sole è scomparso all’orizzonte.
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