I mauritaniani sono un misto di popoli nomadici di origine araba, di neri subsahariani e di ex-schiavi liberati, che assomigliano fisicamente ai secondi e culturalmente ai primi. Ci sarebbe tutto per una bella esplosione etnica, ma per il momento - a parte qualche epurazione negli anni novanta - la pace sociale regge.
Il tempo a Nouackchott scorre più lento. La luce accecante, il calore del sole, l'aridità del panorama non possono che rallentare il ritmo della vita. Gli uomini camminano con passo cadenzato di zombie, avvolti nel loro boubou, la tunica tradizionale. Le donne - ingrassate a dovere grazie a dosi forzate di latte di cammella - hanno forme rotonde, a mala pena dissimulate da un triplice strato di veli. I loro visi, di un colore unico al mondo che si potrebbe descrivere come un marrone chiaro che tende al perlaceo, sono di una dolcezza e di una sensualità uniche.
Non c'è molto da fare a Nouackchott. L'alcool è proibito e si trova solo in posti frequentati da stranieri. La vita notturna è tra le più tranquille d'Africa (per non dire praticamente insesistente). La notte si può sentire il rumore di uno spillo che cade nella sabbia, oltre al fuoristrada del vicino che rientra a casa facendo i 180 sull'ultima chicane.
Le due sere che ho passato a Nouackchott mi sono sentito l'ospite d'onore. La prima cena, interminabile, era degna di un re medioevale: aragoste, pesce, agnello, altro pesce, pollo, carne. Sono tornato in albergo zigzagando. La seconda cena, in cui al mio tavolo hanno servito un agnello intero ripieno di couscous (al tavolo eravamo in tre e anche piuttosto magri), era accompaganta da un concerto della cantante più famosa della Mauritania, la Madonna locale. A piedi scalzi, con una voce che saliva alta le scale degli accordi della musica araba, ha cantato una canzone che faceva venire la pelle d'oca. Ero convinto che fosse una canzone d'amore, ma poi ho scoperto che parlava del Profeta.
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