martedì 11 settembre 2012

Sustenhorn


Quello che adoro della Svizzera - oltre al fatto che si pagano poche tasse - è poter andare in montagna in treno. E quando dico montagna voglio proprio dire montagna: si scende dal treno e si inizia a camminare o, in inverno, a sciare. E dove non arriva il treno arriva il Post bus, il mitico autobus giallo delle poste che parte pochi minuti dopo l'arrivo del treno e arriva letteralmente ovunque.
Un'altra cosa che adoro della Svizzera - oltre alle tasse e ai treni - sono le sue montagne. Per un'arcana magia, appena inizio a camminare su un sentiero di montagna scompaiono tutte le piccole frustrazioni quotidiane, la freddezza della gente di Zurigo, il caro-benzina e anche la sconfitta di Federer ai quarti dell'US Open. Nella mia mente si gonfia una specie di gommone su cui galleggiano a intermittenza pensieri che passano senza lasciare tracce. Camminare diventa mezzo e fine.
Il sentiero che sale da Götschenalp è sinuoso e poco ripido, perfetto per guardarsi attorno e anche mangiare i mirtilli che crescono un po' dappertutto. Questo è probabilmente l'ultimo week end d'estate e tutti ne approfittano per godersi un po' di sole, mentre i pastori portano a valle le vacche prima che arrivi il freddo. Per me è l'occasione di salire su un ghiacciaio, almeno finchè non ricominci la stagione invernale.
Il rifugio è piccolo, la cena modesta, la conversazione molto semplice, in particolare perchè capisco una parola su due. Mi concentro sulle cartine topografiche e mi infilo nel mio sacco-letto appena posso. La notte passa stranamente senza troppi problemi, mi sembra anche di riuscire a dormire. La sveglia è alle 4.15, i primi passi nel gelo della mattina sono le solite mazzate alle gambe, ma poi passa tutto e mi trovo a camminare come un automa fino all'inizio del ghiacciaio. C'è qualcosa di magnifico nel rituale dell'arrivo alla lingua del ghiacciaio: la pausa, lo zaino messo a terra, l'imbrago, l'incordatura e soprattutto i ramponi. Sono degli aggeggi magnifici i ramponi, così magnifici che ti permettono di camminare sul ghiaccio. Arrivo in cima al Sustenhorn, a 3.500 metri, che neanche me ne accorgo. Il paesaggio è indescrivibile: una lingua di ghiaccio che si spezza in centinaia di crepacci che lo tagliano come tante ferite trasversali.
La discesa è la solita tortura. Come sempre c'è chi non riesce a fare due passi con lo stessi ritmo e si crea un tira-e-molla insopportabile. A peggiorare la cosa, questa volta, c'è che quella davanti va troppo veloce e quella ditro troppo lenta, per cui vengo tirato contemporaneamente in avanti e indietro. Quando arriamo alla terra ferma tiro un enorme respiro di sollievo: libertà, ognuno con il suo ritno, ognuno per i cavoli suoi.

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