domenica 16 maggio 2010

Leon

Da piu' di un mese sto combattendo una battaglia quasi quotidiana. Il mio nemico e' blu e grigio e ha varie tasche e zip. La sera estraggo vestiti, scarpe, shampoo, spazzolino e altre cose con una facilita' e naturalezza estrema. La mattina, rimettere tutto dentro diventa un processo sempre piu' lento e laborioso, anche se gli oggetti sono sempre gli stessi.
Alle otto lo zaino e' pronto ed esco in strada per un ultimo rapido giro di Leon, citta' che traspira fascino come poche altre. Sara' per gli edifici coloniali che non vengono toccati da decenni, oppure per le chiese disorne con gli uccellini che passano per le porte e le finiestre aperte, oppure per i murales iper-realistici che parlano della guerra civile e di massacri di studenti nel 1959 (Leon e' il feudo del movimento sandinista). Leon e' una bella donna che non sa di esserlo e non fa nulla per rendersi piu' attraente perche' in fondo non ne ha bisogno. I turisti in giro si contano a fine giornata sulle dita di una mano e la gente li tratta come persone e non come portafogli ambulanti. Passeggiando per il mercato coperto il mio look gringo non attira molti sguardi e la signora che vende iguane vive per la minestra della cena accenna un sorriso quando le chiedo se posso fotografarle.
Lascio Leon sull'ormai classico minubus, diretto a Managua. La strada attraversa le campagne, passa vicino ad un vulcano, poi ad un lago, infine si immerge nella citta', che in realta' e' meno caotica di quanto mi immaginassi. Sui ponti e sui muri appaiono frequenti scritte inneggianti la rivoluzione, oppure sandino, oppure il FSLN (Frente Sandinista de Liberacion Nacional), poi si alternano schizofrenicamente a concessionarie di automobili e a grandi catene americane (Kentuky Fried Chiken, Thanks God Is Friday, Mc Donald's). Ci sono un po' ovunque dei cartelli che informano dell'arrivo della ¨Brigada de Salud Cuba-Nicaragua¨ ovvero del programma medico gestito da medici cubani. Il nome Daniel appare spesso a fianco delle scritte rivoluzionarie, appare a fianco a quello del Che, oppure a quello di Sandino. Si tatta di Daniel Ortega, padre della rivoluzione del 1979 che - dopo un purgatorio di una quindicina d'anni - e' tornato al potere con un'agenda populista in stile Chavez. Ora parla di pace e amore e, dopo decenni di ateismo professato, ha riscoperto una vocazione cattolica che le malelingue giudicano tanto tardiva quanto improbabile.
Hasta la victoria ad ogni costo

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