lunedì 28 giugno 2010

Panama

E' sabato pomeriggio. Da decine di negozi e tavole calde arrivano gli eco di un commentatore animatissimo, che inframmezza la descrizione della partita USA-Gana a spot pubblicitari che appaiono nella banda inferiore della televisione (senza alcuna eccezione tutti tifano Gana). Dei bus locali dipinti a colori vivaci con delle tigri, dei diavoli, dei paesaggi, delle donne-fumetto in bikini o dei Gesu' Cristo con la tunica bianca passano facendo un rumore d'inferno per le stradine che tagliano l'avenida central, la strada pedonale che va da Plaza 5 de Mayo al Casco Viejo, la parte storica di Panama City, un quartiere allo stesso tempo molto ricco e molto povero, rione degradato de la Havana e qurtiere chic. Il Casco Viejo e' una striscia di terra circondata dal mare. A sinistra si vede lo skyline della citta' moderna, profili di grattacieli che ricordano Miami. A destra una serie di isole collegate tra loro che proteggono l'uscita delle navi dal canale di Panama. Il Casco Viejo e' una scacchiera di stradine che separano strabilianti edifici coloniali. Una buona parte completamente distrutti, di cui rimangono solo i muri esterni, mentre altri perfettaente restaurati. Nella stessa strada ci puo' essere un ristorante di puro design, a fianco ad un portone sfasciato da cui si intravede un'enorme stanza senza pareti, con vecchi mobili accatastati quasi alla rinfusa (la televisione perennemente accesa sulla partita). L'edificio doveva avere almeno tre piani, ma i solai sono crollati, lasciando un'enorme loft dal soffitto eterno. Per le stradine passano i SUV dei clienti dei locali notturni, davanti a famiglie intere scese in strada in ciabatte a prendere il fresco della sera. Un gruppo jazz contrattato da un bar per gringos suona motivi da ascensore, mentre cento metri piu' avanti tre uomini suonano con strumenti improvvisati (una vecchia chitarra, un secchio di plastica e una campana) note di salsa. I ricchi e i poveri che condividono - almeno per il momento - lo stesso quartiere.
Panama e' anche il vecchio e il nuovo: i resti della citta' spagnola rasa al suolo dal pirata inglese Morgan a sud, il quartiere della finanza nel centro e un'ammasso di ferraglia ritorta al nord. Pensavo fosse una discarica abusiva e invece ho scoperto che si tratta dell'ultima creazione di Frank Ghery, l'architetto visionario che ha costruito - tra le altre cose - il museo Guggenheim di Bilbao. L'opera deve essere ancora rivestita di pannelli multicolori costruiti in Thailandia e promette di stupire i futuri visitatori del museo della biodiversita' con linee ricurve sovrapposte.
Ma a parte la salsa, il panorama e le passeggiate sulla calzada de Amador, il lungomare che finisce in un porto il cui yacht piu' piccolo misura 15 metri, Panama City e' soprattutto il punto di arrivo e di partenza per tutti i cargo che vogliono attraversare l'America senza dover scendere fino all'Argentina. Enormi navi stracariche di containers (fino a 5000) stazionano al largo in attesa della luce verde. Per passare pagano fino a 360.000 dollari e la traversata dura 14 ore. Alla chiusa di Miraflor, la piu' vicina alla citta', hanno creato un centro per i visitatori, con tanto di annunciatrice che spiega da dove viene la nave, cosa trasporta, quanto ha pagato, dove va e se il capitano soffre di emorroidi. Le navi sono degli enormi bestioni domati da piccoli ma feroci rimorchiatori. Quando entrano nella chiusa vengono traianate da locomotrici elettriche che si muovono su rotaie dentate. Le navi piu' grosse, quelle costruite apposta con le dimensioni delle chiuse lasciano uno spazio di appena 60 centimetri tra un lato e l'altro.
A Panama ho passato tre notti in tre alberghi diversi. Purtroppo la pensioncina nel Casco Viejo carina, piena di bella gente ed economica era comprensibilmente strapiena. Mi sono quindi accontentato dell'hotel Colonial che sembra uscito da un film degli anni cinquanta, visto che non e' stato toccato da quell'epoca. C'e' ancora un cartello che dice di aspettare l'operatore dell'ascensore per montare. La moquette della mia stanza e' della stessa epoca e ha raccolto negli anni tutti gli odori delle persone passate di qua, non necessariamente i migliori. La finestra e' di puro decoro e lascia entrare tutti i rumori e gli umori della strada: sembra di stare ascoltando "Doo Bop" di Miles Davis. Il bagno e' di piastrelle bianche sbrecciate, la doccia - solo fredda - e' quasi senza acqua. Non fosse perche' alle undici di sera un uomo si e' messo a prendere a martellate un divano fuori dalla mia stanza seguendo l'istruzione della proprietaria e alla cinque di mattina il venditore di giornali ha iniziato il suo turno in strada, sarei rimasto sperando di vedere passare Humprey Bogart con un sigaro in bocca.
Il secondo albergo e' in un quartere piu' moderno e si chiama Residencial Cuba: ha la televisione, l'aria condizionata e varie decine di stanze tutte completamente vuote, cosa inspiegabile visto che quello a fianco - raccomandato dalla guida - e' strapieno. Durante il giorno non vola una mosca. Un anziano signore cammina per gli intricati corridoi semibui con un secchio e una scopa. Quando si fa sera capisco perche' le stanze sono vuote: i clienti entrano solo in coppia ed escono poco dopo. Per chi fosse interessato, al Residencial Cuba si puo' pagare anche ad ore, ed e' quello che praticamente tutti i clienti fanno.
Passare per Panama senza prendere un bus sarebbe un peccato mortale. Alcune fermate sono piu' o meno riconoscibili, mentre altre si indovinano per la quantita' di gente che scruta l'orizzonte in direzione del traffico. Il difficile non e' tanto vedere se il bus arriva o no. La vera arte sta nel capire dov'e' diretto, perche' mentre i messaggi etico-morali tipo "Jesus salva mi vida" sono dipinti a caratteri cubitali, la destinazione e' scritta su una piccola placca attaccata con due mini-ventose al parabrezza. Anche riuscendo a leggere la scritta, non si capisce molto di piu' perche' puo' essere qualcosa come "España" o "Ruta 2" o "Calle 12". Per capire veramente dove va il bus bisogna ascoltare l'amico ciccione dell'autista che urla la vera destinazione finale. Una volta sul bus si ha diritto a della salsa a tutto volume per tutta la durata del tragitto. Si paga quando si scende, probabilmente per essere sicuri che l'autista prenda un minimo di precauzioni per risparmiare la vita alla maggioranza dei passeggeri.
El diablo

1 commento:

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