giovedì 20 gennaio 2011

Di ritorno

E' tornando a casa (se si può chiamare casa un albergo) tardi la notte, dopo una cena di Natale sposatata al venti di gennaio che qualcosa si muove dentro di te. Stai camminando sotto radi fiocchi di neve per le strade sconosciute e fredde di Zurigo. Hai lasciato colleghi alticci parlare di lavoro e soldi e figa (insomma le cose che interessano a tutti). Ti sei anche fumato una sigaretta, tu che odi il fumo , che hai rotto i coglioni a tutti quelli che ti circondano perché smettessero di fumare. Lo hai fatto perché in fondo anche tu hai bisogno di quel qualcosa in più per sentirti più sicuro di te, oppure solo perché non volevi startene solo sul divanetto a guardare il muro di fronte come la sera precedente (con la differenza che la sera prima c'era un concerto jazz stupendo e il tuo sguardo si perdeva in mezzo a note che danzavano nell'aria e non sembravi un perfetto imbecille). E sei anche stanco, la settimana é stata lunga, hai dormito poco, hai appena iniziato un nuovo lavoro in una città che non conosci dopo un anno di cazzeggio estremo. Insomma hai tutte le scuse del mondo per esonerarti da ogni colpa, ma mentre stai tornando verso il tuo albergo sotto la neve, senti quella familiare sensazione di perenne sconfitta che ti accompagna da anni. E non importa se la sconfitta é importante oppure frivola, se un uomo é stato torturato e ucciso perché tu non hai fatto abbastanza per lui, oppure una ragazza ti ha ignorato o fatto finta di farlo. Non importa perché in fondo a te stesso quella sconfitta ti piace. Non solo, ma ogni volta che ti senti un vincente perché attorno a te si moltiplicano i simboli del potere, non stai bene finché non ti senti perduto e solo: camminare sotto la neve in mezzo ad un centro senza un'anima, oppure in mezzo ad un deserto sotto un cielo di stelle. Perché daresti tutti i biglietti di business class per dodici ore di un bus scassato e puzzolente nel mezzo del nulla, perché in fondo non te ne frega niente della politica del potere, che continui a guardare come fosse una manifestazione antropologica, con quel gusto e quel distacco supponente da pseudo-intellettuale, che si compiace della sua presunta superiorità.
Ed é continuando a camminare, rincorrendo un tram di mezzanotte per non prendere un taxi che ti senti bene, quasi felice. E fai le scale tre alla volta come nella canzone di Dalla, ma invece di sederti sul divano ti metti di fronte al tuo computer e scrivi. E poi hai in testa già la frase che scriverai alla fine del tuo racconto. Sai già che nonostante tutte le vittorie a cui potrai aspirare in vita tua, l'unica cosa che ti fa sentire te stesso é la tua malinconia, che non scambieresti per tutta la felicità del mondo, perché quella malinconia ti definisce più della tua carta d'identità, quella melancolia sei tu.

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