sabato 21 maggio 2011

Saltatempo


Sono entrato due volte nella macchina del tempo. La prima fu in Bielorussia nel settembre 2001. All’epoca feci un salto quantico di vent’anni, per ritrovarmi in piena epoca sovietica, visitando sovkhoz, comitati del popolo e stanze del potere ornate di tutta la simbologia comunista: busti di Lenin, soli dell’avvenire e falci e martelli come se piovesse.
La seconda volta che ho preso la macchina del tempo è stato all’inizio della settimana scorsa, per ritrovarmi negli anni quaranta. Il centro di Asmara, la capitale dell’Eritrea, è rimasto praticamente identico a come gli italiani lo hanno lasciato alla fine del ridicolo tentativo di costruire un impero africano. Le strade sono quelle disegnate dal piano urbanistico e gli edifici seguono le linee spigolose degli incroci con curve d’epoca. Asmara è l'unica città "italiana" cresciuta con razionalità e pianificazione. E tutto è stile: dal rigido razionalismo degli edifici pubblici, all’art déco delle villette dell’élite, alle linee futuriste della stupefacente pompa di benzina "FIAT Tagliero", costruita a forma di aereo. I cinema di Asmara si chiamano cinema Impero, cinema Roma, cinema Odeon, cinema Dante Alighieri, alcuni ancora con le poltrone originali.
Per le strade pochissime macchine, niente traffico, qualche carro trainato da un asino. La scuola-guida usa delle 600 che sembrano uscite da un museo dell’automobilismo. E poi ancora camion FIAT et IVECO d’epoca che avanzano alla velocità dei loro anni, emettendo nuvole di fumo nero.
A cenare al circolo italiano ci si sente come in un film di Rossellini: un cortile pieno di alberi e tavoli rotondi, sembra di essere a Roma. Il proprietario è un signore che ha passato più di trent’anni a Torino e parla un italiano forbito e classico, quasi stucchevole nella sua perfezione sintattica. Ci offre prosciutto e melone, spaghetti ai gamberi e vitello tonnato. Dietro di me, sopra l’affettatrice con il San Dianiele, c’è un’insegna della Birra Moretti.
Gli italiani hanno lasciato l'architettura, il cibo e...il calcio. Sport nazionale per eccellenza, è principalmente giocato su campi senza un filo d'erba come quello di Kerem, che tra qualche mese - se tutto va bene - dovrebbe diventare un campo sintetico di ultima generazione da fare invidia a San Siro. Per il momento è un rettangolo sabbioso su cui ventidue giocatori fanno errori clamorosi a porta spalancata e gli arbitri fischiano fuorigioco fantasiosi, sedotti da guardialinee un po' troppo ligi al dovere. Mentre il pallone rimbalza sul terreno irregolare con traiettorie imprevedibili, dalle tribune arrivano le grida dei ragazzini: "fallo!", "fuorigioco!", "mano!". Manca solo "arbitro cornuto". Assieme al calcio ci siamo dimenticati di trasmettere il disprezzo per le regole.  

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