giovedì 30 settembre 2010

Tensione superficiale

La città è inmbandierata, la televisione trasmette discorsi ufficiali, c'è gente per le strade: la banda, le majorettes, militari in uniforme, studenti, famiglie vestite a festa. I politici in giacca e cravatta, con i ventri enormi fasciati da bandiere bianche e verdi ostentando sorrisi e aria bonaria. Tutte le persone sul palco ufficiale, con i loro orologi, occhiali, orecchini e collane sembrano uscite direttamente da un quadro dai colori pastello di Botero. I discorsi sono da repertorio: la grandezza del popolo cruzeño, la fede, il futuro. I giornali locali sono usciti con un inserto speciale dedicato ai cittadini illustri del passato e del presente. Da citare il rallysta degli anni cinquanta arrivato tredicesimo al rally Londra-Messico e il giocatore di squash attualmente terzo nel ranking mondiale.
E' il bicentenario della "liberazione" di Santa Cruz, la città più grande della Bolivia. In ogni stato latinoamericano c'è una città che si arroga il titolo di città liberata prima delle altre (l'indipendenza della Bolivia è di 15 anni dopo), di solito una città che si sente diversa. Santa Cruz è la Milano o la Barcellona della Bolivia (ad occhio non si direbbe, ma è tutto relativo). E' la città che si sente ricca, economicamente dinamica, in una regione di esportazione di prodotti agricoli, minerari e idrocarburi. I cambas, gli abitanti del posto, odiano i kolla, gli abitanti dell'altopiano. Nelle poche ore che passo in città ben cinque persone mi dicono che i kolla sono dei taccagni pidocchiosi che non sanno cosa sia il gusto della vita (tanto razzismo l'ho sentito raramente). La tensione si vede dai dettagli: l'assenza del presidente Evo Morales (in visita ufficiale all'Assemblea Generale dell'ONU dove ha "rimpiazzato" Chavez) e il rifiuto del vicepresidente di fare il suo discorso, ufficialmente per un cambio imprevisto nel protocollo. Interessi economici divergenti e identità culturale, ci sono tutti i presupposti per un conflitto. Per il momento non violento, ma l'ossessione con cui si pronuncia la parola "autonomia" parla chiaro, qui non si faranno sconti.
cambakolla

martedì 28 settembre 2010

I flagelli divini

Ci sono momenti in cui la maledizione del viaggiatore si abbatte come una punizione biblica, senza apparente motivo. Lasciando São Jose sembrava che tutto fosse a posto: il volo in orario, la pousada di Cuiabà che faceva il pickup dall´aeroporto gratis, la persona al telefono gentile e che parlava un po´ d´italiano, la possibilitá di fare un tour al Pantanal il giorno dopo. Ma le acque del Mar Rosso rimangono aperte solo un attimo, per poi richiudersi improvvisamente: la pousada é un posto con un certo fascino ma totalmente lurida (tralascio la descrizione del bagno per i deboli di stomaco), il padrone ha una risata finta e semi-isterica, il prezzo del tour é astronomico, la cittá é avvolta dal fumo delle campagne che bruciano e - dulcis in fundo - nessuna delle mie due carte di credito sembra avere buoni rapporti con i bancomat della cittá. Con quello che costa il tour, rimarrei senza soldi e devo ancora arrivare in Bolivia, dove spero che almeno una delle due carte verrá resuscitata. In una decisione lampo il Pantanal viene depennato e nel giro di cinque minuti mi ritrovo di nuovo zaino in spalla, nel caldo soffocante di Cuiabá, cittá che ha l´unico interesse di trovarsi nel centro geografico dell´America del Sud, il che non la rende né piú bella né piú piacevole. Alla rodoviaria prendo un bus per Caceres, nella speranza che arrivi in tempo per permettermi di effettuare le formalitá doganali prima di un viaggio allucinante che dovrebbe portarmi in Bolivia. L'aria condizionata è più di forma che di sostanza e si comincia a sudare. All'una il bus si ferma i un posto da Mezzogiorno di Fuoco, dove il fuoco è vero e l'aria è avvolta da una nebbia di fumo e cenere. Caceres appare come un miraggio nel deserto. Per compiere le formalità doganali prendo un moto-taxi con i miei due zaini (la gente guarda con curiosità). La stazione della polizia federale è letteralmente invasa da un gruppo di boliviani vestiti in abiti folklorici. Tento di saltare la coda spiegando che l'ultimo bus per la frontiera parte di lì a poco, ma il poliziotto è inflessibile. Quando si allontana un attimo, il suo collega mi fa cenno di passare e in due minuti il passaporto è pronto. Prima di riprendre il moto-taxi ho il tempo di fare una foto con il gruppo folklorico.
Tento di cambiare dei reais per dei bolivianos. Chiedo a delle persone, ognua delle quali ha una soluzione: la posta, la banca, la signora che ha un negozio d'abbigliamento, la casa di cambio inesistente. Finisco per cambiare i reais in dollari nella speranza che servano dall'altro lato della frontiera. Tornando alla stazione dei bus mi imbatto in una sfilata in cui vari gruppi latinoamericani si esibiscono in balli popolari. Ci sono anche i boliviani che ho incontrato alla stazione di polizia, seguiti da un gruppo di slovacchi (gli unici europei) vestiti con cuffiette e giacche di lana che ballano una danza centroeuropea sotto il sole tropicale.
Il bus per la frontiera è un cassone dell'immondizia con quattro ruote. In compenso la strada è vuota e il paesaggio scorre fuori dal finestrino come se si fosse su un treno: alberi, alberi, alberi, mucche, mucche, alberi, una casa, mucche di nuovo, alberi, un pilone della luce, alberi, mucche, mucche. Il sole inizia a scomparire tra le nuvole, l'aria si fa ocra, poi la notte cala, illuminata solo dai fari del bus che viaggia a tutta velocità.
Quando si ferma salgono a bordo due militari brasiliani dall'aria molto marziale, con tanto di giubbotto anti-proiettile (tanto per sudare un po' di più). Fanno scendere tre ragazzi boliviani e si soffermano - come prevedibile - sul mio passaporto che ha visti di mezza America Latina e mezzo mondo arabo. Mi fanno un paio di domande più per curiosità personale che per sospetto e passano oltre. Il bus riparte per fermarsi poco più avanti. Tutti scendono per salire su un taxi che copre gli ultimi chilometri guidando come un pazzo per una strada sterrata completamente buia.
Arrivo a San Mattias, Bolivia, in uno stato quasi onirico. Vengo sbarcato davanti al Las Vegas Hotel che deve essere l'unico in città, ha un'insegna con un uomo vestito da Cow Boy e sembra in tutto e per tutto un albergo a ore. L'uomo alla reception è semi-analfabeta e va in panico quando deve scrivere la nazionalità italiana invece che brasiliana. Il tempo di farmi una doccia e via a cercare di mangiare qualcosa per le strade semibuie del paese (a San Mattias non si investe molto in illuminazione pubblica e assolutamente nulla in asfalto).
Il viaggio da San Mattias a Santa Cruz, il giorno dopo, dura quattordici ore, di cui più della metà su strada sterrata. Entrando in uno stato di oblio totale, interrotto solo dalle tre fermate per mangiare ed andare in bagno, sopravvivo la prova senza troppo dolore. L'aria che entra dal finestrino dà un po' di refrigerio, la felpa dietro al collo aiuta a dormire un po'. Sono le undici di sera quando arrivo a Santa Cruz, stravolto da tre giorni ininterrotti di viaggio.
Backpain

domenica 26 settembre 2010

Saudade



Sono piú di cinque mesi che sto viaggiando da solo. Sono quasi dieci anni che vivo in giro per ilmondo, prevalentemente da solo: niente ancore, poche radici. Il senso di libertá che questa vita ti dá é ineguagliabile, assolutamente unico: rispondere solo a se stessi, meno vincoli, pochi obblighi. E´una libertá che ha i suoi costi, uno dei quali si chiama solitudine, in portoghese saudade. Non c´é solo la solitudine bucolica della montagna piú alta o dell´isola in mezzo al mare. C´é anche e soprattutto la solitudine pesante, quella non sollecitata, la solitudine troppo ruomorosa di Bohumil Hrabal. Ci sono momenti in cui il prezzo sembra troppo alto e si darebbe qualsiasi cosa perché il sedile a fianco non sia riempito solo dal proprio zaino (o peggio dall´ubriaco di turno) o perché il proprietario della pousada non ti chieda con aria perplessa você viaja sozinho?
Questa sera, nel buio di São Jose, in un´oscuritá interrotta solo da qualche candela, mi sono sentito chiamare ¨eroe¨. Era un po´ che non succedeva. Di solito mi si chiama cosí per il lavoro che faccio (che di eroico ha poco o niente), ma questa volta semplicemente per attraversare l´America Latina con mezzi pubblici, da solo.
Era una conversaizone rubata con la finta scusa di chiedere informazioni, ma con la speranza che la semplice domanda si trasformasse in dialogo. Non importa che le stesse cose vengano dette e ripetute, né che la persona se ne vada dopo mezz´ora. In questo buio africano, dopo ventidue ore di viaggio e tre di scomodo sonno, la sola cosa che puó attutire il senso di vuoto che ho dentro sono delle parole, qualsiasi cosa vogliano dire. Sentirle riscalda come un termosifone in inverno.

L´indomani é un altro giorno, questo é certo, ma non é detto che sia migliore. Oggi sembra di no, almeno a giudicare dal fatto che mi ritrovo in una strada sterrata, completamente avvolto da polvere ogni volta che passa - senza rallentare - una macchina. Il sole é bollente e in lontananza si vede il fumo dei fuochi spontanei che si accendono a causa della siccitá estrema. Sono alla ricerca di un posto che si chiama ¨vale da lua¨ (valle della luna) ma che non riesco a trovare. Due mesi fa avrei girato le campagne con il mio zaino e il cappello da esploratore, ma oggi no. Oggi dico basta. Abbattuto dalle distanze e dalla difficoltá di vivere zaino in spalla getto ufficialmente la spugna.
Quando il viaggio fai-da-te fallisce, non c´é altro modo che contattare Alpitour. A São Jose Alpitour si chiama Jose (strana coincidenza), che con una macchina che ha visto giorni migliori e per un prezzo piú vicino ai suoi interessi che ai miei, accetta di farmi fare un giro per i dintorni (ma non nel parco Vereadores, perché chiuso causa incendi). Alpitour mi porta alla valle della luna, dove un torrente ha scavato la roccia creando contorti ghirigori. Il posto é bello e si puó fare il bagno nel torrente. La seconda tappa é una cascata nel mezzo di montagne aride. Per arrivarci passiamo per una strada con fuoco a destra e fuoco a sinistra, con qualche pompiere intento nel titanico tentativo di arginare il diluvio di fiamme. La cascata forma una piscina naturale, l´acqua é gelida. In giro c´é poca gente. Nei lunedí di bassa stagione solo gente come me viene qui.
La terza tappa, fuori programma, é un meccanico di Alto Paraiso, che salda come puó la marmitta che si era staccata prendendo una buca. Sulla strada del ritorno, per tentare di vedere qualcosa nel mezzo della polvere, Alpitour attiva i tergicristalli, ma la leva gli resta in mano, con tempismo perfettamente fantozziano.
Vinicius

mercoledì 22 settembre 2010

Brasilia: il presente della cittá del futuro


Bisogna essere dei megalomani incalliti per pensare di creare una cittá dal nulla. Bisogna essere dei visionari senza paura se quella cittá é la capitale del quarto stato piú grande al mondo. Nel 1958, quando fu lanciato il concorso per la sua costruzione, Brasilia era l´incrocio tra due strade sterrate. Attorno il nulla. Pochi anni dopo, su disegno di Lucio Costa, una cittá enorme si sviluppava aprendo le ali a forma di aeroplano. Costa deve aver studiato Marinetti da giovane, perché i simboli del futurismo sono ovunque. Non solo la pianta della cittá e´ un aereo, ma il trasporto e la viabilitá (la velocitá) sono al centro di tutto. L´incrocio tra le due linee principali - la fusoliera e le ali - invece di essere una grande piazza é...la stazione degli autobus. Non é colpa di Costa, ma nessuno - piccolo particolare - ha pensato di creare un posto in cui lasciare i bagagli.  Per di piú, nessuno tra le persone a cui ho chiesto - le piú stronze di tutto il Brasile - ha accettato di tenermi lo zaino per qualche ora. Risultato, la visita lampo degli edifici costruiti da Oscar Niemeier é stata fatta zaino in spalla, percorrendo l´asse principale sotto il sole. Biblioteca nazionale, museo nazionale, basilica, ministero degli esteri, parlamento, Niemeir ha costruito tutto quello che era costruibile. Alcune edifici sembrano usciti da Futurama (oppure, piú probabile, Futurama li ha copiati), altri sono piú sobri e bilanciati, con qualche riferimento classico.
Tutto sommato, per quel poco che sono riuscito a vedere, Brasilia é stata comunque pensata bene e sembra una cittá vivibile, piena di verde. Costa si é comunque dimenticato di un piccolo particolare, un essere chiamato uomo, che sembra piú uno spettatore della cittá che colui che ci vive.
Brion

lunedì 20 settembre 2010

Ouro Preto, oro nero


Ouro Preto sembra Nyon, la cittadina sul lago Léman tra Losanna e Ginevra, con strade di porfido ordinate e pulite su cui camminano come mandrie gruppi di scolaresche e comitive di gitanti del week end. Ouro Preto vuol dire oro nero, ma tra le colline della regione non c´é una goccia di petrolio. L´oro é quello giallo, di cui nel diciottesimo secolo si estraeva la metá della produzione mondiale. La parola nero deriva - almeno credo - dal fatto che chi lavorava nelle miniere erano gli schiavi.
Dove c´é oro c´é potere e dove c´é potere ci sono belle chiese (deve essere il senso di colpa). Una dopo l´altra, alternandosi a palazzi coloniali, nel saliscendi delle colline, le chiese sono dei piccoli gioielli barocchi. Ouro Preto é bella, ricca e borghese. Il festival del jazz é il piú elitario del Brasile. Il biglietto per una giornata costa 115 euro, circa la metá di un salario minimo mensuale. Anche gente venuta apposta per vedere il festival desiste quando vede i prezzi e si accontanta dello spettacolino gratuito di consolazione: jazz classico alla Duke Ellington, pochi applausi e niente bis.
zzz....zzz


PS: mi scuso per la noia di questo post, ma il venerdí sera passato con un ingegnere svizzero (tre birre e tremila sbadigli) non aiuta. Per palliare almeno in parte, ecco due notizie tratte da O Globo, il giornale di Rio de Janeiro:

- La squadra del Flamengo, la piú seguita del Brasile, é stata benedetta ieri dal parroco della chiesa di San Giuda. Sembra che la benedizione dia risultati insperati, di cui la squadra ha un gran bisogno visto che naviga vicino alla zona retrocessione.
- All´undienza del processo in cui é accusato di omicidio e occultamento di cadavere il portiere del Flamengo, il pubblico ministero ha iniziato l´interrogatorio di Zico (dirigente del Flamengo ed ex-giocatore dell´Udinese) chiedendogli un autografo.

venerdì 17 settembre 2010

Salvador de Bahia: la cittá ipnotica




¨Tu hai la faccia da israeliano¨ mi dice con estremo senso della fisionomia un tipo che cammina ballonzolando tentando di convincermi ad andare in un albergo che conosce lui (il migliore chiaramente). Poi si corregge: spagnolo. Fuochino. Italiano. Bingo! Siamo ormai  in confidenza e mi dice che ho la faccia di chi fuma spinelli. Ha chiaramente un innato senso del complimento.  Poi diventiamo amici per la pelle e mi confida che fuma crack, ma solo ogni tanto. Apre la bocca e mi fa vedere un piccolo involto con il crack e sorride. Lo tiene in bocca cosí che se viene fermato dalla polizia lo puó ingoiare e non farsi beccare. 
Salavdor de Bahia, la cittá piú vibrante, rumorosa, povera e pericolosa del Brasile. Qui la polizia ti dice di non continuare a camminare per strada perché non é sicuro. Gli stessi turisti brasiliani camminano in gruppo come se fossero in territorio nemico, per non parlare di alcuni stranieri che la sera si barricano in albergo come se in giro ci fossero dei lupi mannari.
Sabato sera 
Pelourinho, il luogo dove venivano frustati gli schiavi, ora centro storico. In un locale rettangolare in cui non c´é nientre tranne una finestra da cui escono bottiglie di birra, un gruppo di samba sta suonando. La gente balla e beve, beve e balla. Qualcuno mi pizzica i fianchi, qualcuno vuole fare conoscenza. E´ S., vestito rosso e wonderbra. Voglio ballare? Parlare? Le offro una birra? Due? Devo andare al bagno? Mi puó baciare? Meglio un´altra birra. Nel frattempo un tipo mingherlino in ciabatte riempie il suo bicchiere da tutte le bottiglie  e lattine di birra del tavolo. Sta bevendo a scrocco da ore e sta ballando con una donna che deve pesare il triplo di lui. Mentre S. ritenta con la fortuna, il mio vicino inizia a parlarmi in italiano. Lui é stato a Brescia e ne sembra uscito un po´scioccato. Mi chiede, con domanda retorica giustificata solo dalle dieci birre che si é bevuto: ¨perché in Italia ci sono i soldi e la gente é triste e qui non ci sono e la gente é felice?¨. Non rispondo, ma tentando qualche passo di samba (due passi a destra e due a sinistra, girando il piede all´infuori, questa sembra sia la tecnica) rimugino sulla questione. Forse alla fin fin in Italia non ci sono poi tanti soldi oppure in Brasile c´é allegria ma non felicitá, o il contrario. Vengo distratto da un uomo scalzo, con la barba lunga, che sta raccattando tutte le lattine vuote. E´ in competizione con una donna bassa, magra e anche lei scalza. Visto quello che la gente beve c´é comunque spazio per due nel settore del riciclaggio dell´alluminio. S. torna alla carica, le piacciono i miei occhi, mentre il mio vicino continua con la sua esperienza italiana (é stato anche a Vicenza ma penso preferisca Alactraz al Triveneto). Mi presenta le sue due colleghe, mentre S. fa il broncio perché mi considera ¨suo¨. Le ¨colleghe¨ ballano e si fanno rimorchiare. Io dopo un po´saluto tutti e me ne vado a letto tra l´incredulitá del mio vicino, di S. e di un paio di altre ragazze in lista d´attesa. 
Boneca
In Brasiile c´é una facoltá di teatro. La metá degli studenti sono gay. A Salvador in questo momento c´é un festival di teatro e anche la gay parade. Due piccioni con una fava. Il gruppo che sta camminando veso la gay parade é composto di teatranti. Il mio fascino esotico é talmente prorompente che quando la parola ¨eterosessuale¨ esce dalle mie labbra un vero e proprio grido di dolore si eleva verso il cielo. La cosa non sembra comunque farli desistere dal tentare con il proselitismo (non si sa mai, magari cambio idea). 
In praça Campo Grande si sta riunendo la folla: camion con altoparlanti, venditori di birra, fotografi di giornali online. C´é anche una coppia israeliana che sta nello stesso ostello del gruppo degli studenti di teatro. Iniziamo a parlare e scopro che lui é un avvocato che difende palestinesi arrestati da Israele. Abbiamo un paio di conoscenze in comune tra le associazioni di diritti umani e mi aggiorna sugli ultimi avvenimenti, tra cui la nascita di un bambino. Mentre parliamo passa un ragazzo a petto nudo con due ali argentate sulla schiena. Il resto é musica a volume allucinante, un mare di gente e pioggia torrenziale.


La chiesa
Ci sono piú di duecento chiese a Salvador. Quelle nel Pelourinho, il centro storico, sono stupende e attirano qualche turista svogliato. Le altre sono vissute. Ce n´é una che riesce in entrambe le cose. Su una piccola collina che sovrasta il mare, Nosso Senhor de Bomfim é una chiesa barocca alla periferia della cittá. Alla messa del martedí mattina, alle undici e un quarto, i banchi sono pieni. L´omelia é appena finita e un musicista sta cantando al microfono una canzone religiosa suonando su un ritnmo di bossa nova. Prima della fine, il prete fa gli annunci sulle prossime messe e sulle confesisoni, chiede quanti vogliono confessarsi e quattro o cinque mani si alzano dalla navata. Poi il chitarrista intona ¨tanti auguri a te¨ per qualcuno che ha appena compiuto gli anni, per poi riprendere di nuovo la bossa nova. La messa é finita e una parte della gente si avvia verso l´uscita, mentre altri si avvicinano al prete che sta benedicendo i fedeli con l´acqua santa. Una donna in fila dietro agli altri ha le mani alzate e balla al ritmo della musica.
Nella stanza al lato dell´altare sono appesi al soffitto dei piedi, delle mani, delle teste, dei cuori, fegati, reni e quelli che mi sembrano dei seni. Tutti gli organi sono di plastica. Alle pareti centinaia di foto ricordano la grazia ricevuta. Ci sono quelle di studenti universitari raggianti che hanno conscluso gli studi grazie all´aiuto divino (meglio del CEPU!), a fianco a foto di macchine (non é chiaro se si ringrazia per l´acquisto o si chiede un´assicurazione addizionale contro i sinistri). Le piú numerose sono foto di gambe ingessate, nasi rotti, piaghe, ferite, bruciature, persone in letti d´ospedale. E poi centinaia di foto tessera, incollate una affianco all´altra: giovani, vecchi, adulti, come in un´enorme collezione di facebook.
  

La domenica
I figli di Gandhy non sono una comune indo-buddista, né un´organizzazione di idealisti pratici. Os Filhos de Gandhy é il bloque de samba piú conosciuto di Salvador de Bahia, una vera e propria istituzione che mischia percussioni, danza e condomblé, la religione sincretica animista d´origine africana. La domenica pomeriggio, verso le quattro, i tamburi iniziano a suonare in un seminterrato del centro di Salvador. Il ritmo é lento e ripetitivo. Dei cantanti si alternano al microfono, la gente balla (gli uomini in mezzo, girando a cerchio, le donne ai lati). C´é gente di tutte le etá, magliette degli ACDC, sandali di cuoio, scarpe da ginnastica, treccine, capelli rasta, pance pronunciate, minigonne. La musica va avanti per tutto il pomeriggio. Ogni tanto si fa piú forte e intensa, suonano due trombettisti, poi ritorna a ritmi piú bassi. I percussionisti sudano, i cantanti sudano, la gente balla e suda. Impossibile rimanere con i piedi fermi. Sembra di essere in Angola, in Mali, in Senegal. Ci sono solo pelli scure tutto attorno ed il paradosso é che in questo angolo d´Africa trapiantato in America Latina,  l´unico che in Africa ci ha effettivamente vissuto - il piú bianco, scoordinato e impacciato di tutti - sono probabilmente io.


Mendicanti
Nel centro di Salvador é impossibile camminare cinquecento metri senza essere fermati da un venditore ambulante, un mendicante, o un ¨amigo amigo que precisa você?¨. La domenica sera, quando la polizia si dirada per le strade, i mendicanti si moltiplicano. Una prostituta specializzata in italiani mi abborda mentre sto comprando uno spiedino di carne. Mi segue per un po´. Perché non voglio parlare con lei? Boh forse saró timido, chi lo sa? Viene rimpiazzata da un ragazzino con i capelli elettrizzati e lo sguardo spiritato (a occhio e croce direi strafatto di crack). Non demorde. Obrigado não preciso de nada. Niente, continua. Cambio strada, mi segue. Vattene! Glielo dico in varie lingue anche se i gesti sono sufficientemente espliciti.
Meninos de Rua sono i bambini di strada. Per una vita ho letto articoli, guardato documentari, seguito il problema. Ora, invece di una vittima di un sistema disfunzionale i cui diritti sono violati e abusati, vedo solo un gran rompiballe di cui disfarmi al piú presto. Oltre che la noia di trattare male qualcuno mi ritrovo a sentirmi in colpa. Torno in albergo con un senso di sconfitta addosso. Usciró il lunedí, quando la polizia torna in strada per proteggere gente come me. 
Martedí
Il martedí, tanto per cambiare, nel Pelourinho si balla. Ci sono un paio di concerti a distanza di trecento metri l´uno dall´altro: musica tropicale e musica pop brasiliana, con qualche accento di samba. Uomini brasiliani a caccia di donne straniere e donne straniere in speranza e attesa di essere cacciate. Alle nove, in una strada laterale, iniziano a riunirsi delle persone. Arrivano i tamburi: grandi, piccoli, medi. Saranno una ventina i percussionisti. Quando muovono le braccia un tuono si abbatte su Salvador: dieci, cento, mille battiti al secondo. I percussionisti iniziano a camminare e dietro di loro iniziano a ballare dei ragazzi: pelle nera e fisico da divinitá greche. Poi si aggiunge una spagnola, un paio di svedesi, un´argentina. Le pelli sono bianche, i capelli biondi, ballano anche bene. Attorno una piccola folla segue il gruppo, chi con in mano una macchina fotografica e chi con le mani sulle orecchie (fanno un casino mostruoso). Si scende la strada, si passa per la piazza, si risale la strada principale che di giorno é stracolma di turisti: tum, tin, tan, ta ta ta, tric, tu tum, tac tic tac, trututum, sembra che il cielo ti stia cadendo addosso. 
Poi il silenzio. I percussionisti, cosí come sono venuti, scompaiono. Si disperdono in mille rivoli, voltando per le stradine laterali, quelle con i buchi, gli edifici cadenti, le baracche, i bar con i tavoli di plastica, la porta aperta e note si samba. Tornano a casa.
Jorge Amado 

mercoledì 15 settembre 2010

Olinda

Ad Olinda, la cittá gemella di Recife, sembra di essere al Cairo. Non ci sono piramidi gigantesche, né il Nilo, né caffé in cui uomini con i baffi bevono caffé fumando narghilé. In compenso qui si posso trovare le finte ¨guide turistiche¨ piú insistenti del Brasile. Non demordono neanche quando spieghi che non hai voglia di sentire spiegazioni e che vuoi solo fare un giro senza qualcuno che ti parli nelle orecchie. Niente da fare.
Ad Olinda c´é la chiesa piú vecchia e probabilmente piú bella del paese. E´ in un convento francescano che si trova in cima ad una collina con vista sull´Atlantico. All´interno c´é un chiostro che fa venire voglia di diventare monaco: silenzioso, raccolto, completamente rivestito di azuleios che raccontano la storia di San Francesco. C´é San Francesco con gli animali, mentre predica, mentre va scalzo. C´é anche un San Francesco inedito con Gesú e Maria. Nel convento vivono ancora dei frati, da quello che deduco dalla tabella appesa al muro con le colonne ¨a casa¨, ¨nella parrocchia¨, ¨in viaggio¨, ¨a Recife¨. Ci sono tre nomi e tutti e tre sono ¨a casa¨, il che vuol dire probabilmente al secondo piano del chiostro.
Fuori dalla chiesa il silenzio sparisce. Siamo agli scgoccili della campagna elettorale e, benché i giochi  per le presidenziali siano chiusi da settimane (la Dilma ha 30 punti di vantaggio su tutti e Lula, se si ripresentasse, sarebbe eletto papa) restano aperte le possibilitá per le altre poltrone e poltroncine statali e federali. Per cui girano macchine con gli altoparlanti, girano moto con gli altoparlanti, girano pure biciclette con gli altoparlanti. E poi bandiere, volantini e poster di gente con la faccia da politico, da imbonitore, da cantante trash o da mago (sembra di essere in Italia). Ma il meglio in assoluto sono dei pupazzoni giganti in stile carnevale (quello di Olinda é uno dei piú celebri del Brasile) con le faccione sorridenti dei candidati. A Viareggio servono per sbeffeggiare i politici mentre qui per attirare voti.
Arlecchino

domenica 12 settembre 2010

Sono distrutto


Per viaggiare in Brasile bisogna avere un fisico bestiale (che io non ho). Alle dieci e mezza di sera un camion su cui sno montate sedie di plexiglas parte da Jericocoara per Jijoca, guidando in stile Parigi-Dakar sulla pista di sabbia. Quando prende un´avvallamento si viene catapultati verso l´alto e si galleggia come se si fosse in assenza di gravitá. Come dice Kassovitz nell´Odio, il problema non é tanto la caduta, il problema é l´atterraggio. Consiglio il viaggio per chi ha problemi di cervicale: li risolverá alla radice eliminando direttamente la colonna vertebrale.
A mezzanotte si scende dal camion per salire su un bus recentemente utilizzato per il trasporto di pinguini. Sarebbe bello poter dormire, ma un´anima sadica ha disseminato di rallentatori l´intero tratto Jijoca-Fortaleza, per cui invece che su un bus sembra di essere sulle montagne russe. Alle quattro e mezza di mattina sbarco a Fortaleza con occhi vitrei e istinti omicidi non tanto repressi, che si acquiscono quando vedo la calca per entrare nell´ufficio della compagnia Guanabara, l´unica - sembra - che viaggia a Recife. Degli impiegati stanno tentano in tutti i modi di aprire la porta che non ne vuole sapere di cedere. Quando infine vincono la strenua resistenza meccanica un´ondata umana si riversa all´interno assaltando l´impíegato che distribuisce i bigiettini con i numeri. Dopo aver resistito alla calca e aver piantato un gomito nel costato di un mio avversario diretto alla sopravvivenza, riesco ad ottenere il numero 33, gli anni di Cristo. Come molte cose in Brasile, il sistema ha una falsa apparenza di efficienza, ma é intrinsecamente deficiente. I criteri di prioritizzazione del computer creano una chiara (almeno per me) discriminazione contro coloro che comprano biglietti (la maggioranza), a favore di queli che hanno richiesto ¨outros servicios¨ e ¨acceso prioritario¨ (non é chiaro di che si tratti in entrambi i casi). La cosa genera non poche tensioni e verso le cinque e mezza volano parole grosse (o almeno cosí credo visto che mi sfugge la metá degli insulti profferiti da un signore molto poco British). Dopo un´ora d´attesa riesco a comprare un biglietto per il prezzo assolutamente vergognoso di 60 euro, ovvero esattamente il valore di tre notti nella pousada di Jericocoara.
Quando il bus parte mi immergo in uno stato di semicoscienza, scossa dalle vibrazioni del motore (per qualche strana ragione sono sempre seduto nell´ultima fila, a fianco del bagno) e dalle frequenti fermate. Non riesco a capire se si tratti di stazioni intermedie, code per lavori i corso o dell´autista con problemi di prostata. Il tempo scorre in modo irregolare: a volte vola, a volta sembra bloccato. A mezzogiorno c´é la pausa pranzo, in un locale che una griglia piú grande di una piscina su cui arrostiscono chili di carne. Dopo l´abbuffata si riparte. Cado in una trance di tre ore, da cui mi risveglio con un compagno di viaggio seduto a fianco a me (non ho idea quando si sia materializzato). La luce del sole si fa via via piú tenue, finché la strada é avvolta da un buio impenetrabile: non un raggio di luna, non un lampione, solo il raro fascio proiettato da una macchina in senso contrario. Le lancette dell´orologio girano. Recife non dovrebbe essere lontana, e invece lo é. Alle sette e mezza, alla pausa per la cena, scopro che siamo solo a João Pessoa, a piú di due ore. Siamo in ritardo di quasi tre.
Alle dieci di sera il bus fa l´ultima frenata nella stazione spettrale di Recife. In giro non c´é nessuno. L´idea di attraversare una cittá da un milione e mezzo di abitanti di notte non mi attira per niente. Paura infondata visto che il treno urbano per andare in centro é piuttosto frequentato e soprattutto pattugliato da agenti di sicurezza come se fosse l´ambasciata americana a Kabul. Alla stazione prima della mia scendono tutti e mi ritrovo completamente solo nel mio vagone. Aspettando il bus per Olinda, vedo passare tutti gli spazzini della cittá che rientrano a casa in bicicletta come in un un film di Charlie Chaplin. Sono le undici di sera e avrei voglia di fare come loro. Il posto piú vicino ad una casa si chiama Pousada Olinda che sembra avvicinarsi poco a poco. Il tragitto in bus mi sembra piú lungo del previsto e chiedo al venditore di biglietti (che viaggia sul bus) quando arriveremo a Olinda. Lui cade dalle nuvole e mi dice che si é dimenticato di avvisarmi. Devo scendere e prendere un bus nel senso inverso (é fortunato che il mio coltellino svizzero é poco pratico per uccidere membri del sindacato trasporti). Per un colpo di fortuna il bus nel senso opposto passa in quel momento e l´autista gli fa cenno di fermarsi. Salgo, scendo alla fermata giusta, trovo la pousada, mi tolgo lo zaino dalla schiena. E´mezzanotte, ho viaggiato per 25 ore e mezza di filato.
Boa noite

giovedì 9 settembre 2010

Jericocoara (o la spiaggia piú bella del Brasile)

A Jericocoara - che significa coccodrillo sulla spiaggia - sembra di essere alle Galapagos. Invece dei leoni marini e delle iguane si puó osservare il rituale dell´accoppiamento (o quantomeno il tentativo) dell´homo sapiens sapiens, il primate con meno senso del ridicolo.
Jericocoara é considerata, e a ragione, una delle spiaggie piú belle del paese, isolata in mezzo a dune di sabbia bianca che la rendono remota, misteriosa e di difficile accesso. La sera, a camminare in infradito per le vie coperte di sabbia, un´umanitá abbronzata e epicurea si scola decine di caipirinhe tra la chitarra di un cantante contrattato da un bar e i bassi esagerati di un locale il cui proprietario non sembra capire che la musica tecno non é la preferita dal popolo della notte. Sullo sfondo l´oceano atlantico che si alza e si abbassa con il ritmo delle maree, sovrastato da una coperta di stelle e da una piccola luna quasi invisibile a forma di falce.
La gente parla e si guarda. Ci sono tre categorie di persone. I turisti brasiliani sono i piú numerosi e i piú rumorosi. Si muovono in gruppo o al massimo in coppia. La solitudine non é ammessa. Ci sono poi i turisti stranieri, italiani e francesi in testa, oltre a qualche surfista iperproteico il cui fascino é interamente racchiuso nei tre chili di gel che ha in testa. E´gente che rimane in Brasile per due o tre settimane, mangia pesce e non sa cosa sia uno zaino. I backpackers sono rari (ne ho contati tre, compreso me) e anche guardati con un po´ di diffidenza (chi viaggia per troppo tempo deve essere strano, magari anche comunista). Infine ci sono gli stranieri locali, quelli che che hanno lasciato armi e bagagli e hanno aperto una pousada o un ristorante. C´é una spagnola (pardon catalana) trapiantata da cinque anni che si dá alla capoeira, un italiano che é qui da otto, un´inglesona maestra di kitesurf arrivata da qualche mese. Formano una piccola comunitá che non é né di qua né di lá: e poi verso sera li vedi, tutti a caccia una donna e via, e attraversano la notte a piedi per scacciare la malinconia.
A Jericocoara c´é un appuntamento fisso. Verso le cinque di sera, uno sciame di persone si incammina sulla duna che sovrasta il paese come in una scena biblica. Non ci sono vitelli dorati, né mitomani che tentano di far sgorgare l´acqua dal deserto. E´ il pô de sol, il tramonto. Chi fosse in cerca di un po´di romanticismo é pregato di tornare durante la bassa stagione. In questo periodo guardare il tramonto significa soprattutto farsi fotografare in posa, possibilmente cone le mani aperte (lei) oppure saltando sulla sabbia (lui). Sfidando un vento micidiale che spara in faccia raffiche di granelli di sabbia come fossero proiettili, centinaia di persone guardano verso ovest il cerchio farsi rosso e scomparire. Poi riprende la transumanza (i piú coraggiosi buttandosi giú dalla duna, i piú saggi camminando per la parte meno ripida) verso la spiaggia dove inizia la roda di capoeira tra percussioni, canti e battiti di mano. In mezzo ad un cerchio di gente i ballerini-lottatori saltano, fanno acrobazie e atterrano in un fazzoletto di terra. Volano granelli di sabbia, ma miracolosamente nessuno del pubblico viene colpito in piena faccia da una pedata. Non é chiaro se sia fortuna o estrema abilitá (probabilmente entrambe).
Evolutionist

martedì 7 settembre 2010

Da Barreirinhas a Jericocoara: la mini odissea

Mai come in questi giorni ho desiderato tanto possedere un elicottero, oppure potermi trasformare in uccello, o anche semplicemente essere un nano. Il viaggio da Barreirinhas a Jericocoara é una piccola affascinante odissea che comincia su una Toyota sul cui pianale sono montate ben dodici sedie. Chi ha preso le misure deve essersi dimenicato che gli esseri umani hanno degli arti inferiori comunemente chiamati gambe. E´ letteralmente impossibile stare seduti senza stare in posa da sirenetta o dover incastrare le ginocchia tra i tubi di ferro che tengono in piedi il telone. Quando la macchina inizia a muoversi sulla pista sabbiosa in mezzo alle dune la mia rotula destra viene ridotta in briciole, mentre con il resto del corpo scopro infinite superfici taglienti, inizialmente ignorate o sottovalutate. Oltre al vento e alla sabbia, biogna stare attenti ai rami, visto che l´autista - per evitare di rimanere insabbiato - deve costantemente accelerare anche quando si passa vicino agli alberi. Il tragitto da Barreirinhas a Paulino Neve deve essere di circa 40 chilometri ma ci vogliono circa  due ore per arrivare.
La campagna elettorale nello stato di Maranhão deve giocarsi per un pugno di voti, visto che anche in un posto dimenticato da Dio come Paulino Neve, dove non c´é la minima traccia di un pezzo di asfalto, ci sono in giro solo macchine con cartelli elettorali e con enormi casse che trasmettono i gingle dei candidati. Quella piú rumorosa é quella di Roseana, la governatrice uscente, appoggiata da Lula.
Di fronte all´unico ristorante di Paulino Neve, parte a mezzogiorno la jeep per Tutoia, seconda tappa del mio periplo. A mezzogiorno e mezza non si vede ancora nessuno, ma niente panico. Nel paese del tudo bem non bisogna avere fretta. L´autista compare dopo un po´, mi carica (i suoi sedili sono nettamente piú comodi) e mi porta in giro per il paese a fare tutte le commissioni che non ha avuto il tempo di fare in precedenza (e sono molte). Una volta finito di andare di casa in casa a prendere e portare oggetti di ogi tipo, da normale tassista di campagna si trasforma in pilota di rally e guida sulla strada sterrata come se fosse inseguito da un pazzo omicida su una Porsche. La signora che e´seduta davanti a me si fa una messa in piega totalmente gratuita e molto aerodinamica. In meno di un´ora, passando ruscelli in cui donne lavano i panni e lavori in corso che ci ricoprono di polvere, siamo alla rodoviaria di Tutoia, ovvero un edificio ad un piano che funge da stazione dei bus.
Sceso dalla jeep, vengo immediatamente cooptato dall´autista dell´ônibus che sta per partire. Questa volta niente vento, né sedili spezza-schiena. A darmi il colpo di grazie ci pensa l´aria condizionata. Quando il bus arriva a Parnaíba sono assiderato e in stato confusionale. Decido di non scendere alla stazione dei bus preferendo andare fino al centro, per poi scoprire da un tassista che non ci sono bus per Comecim la mattina (non é vero) e decidere di prendere quello della sera, tornando quindi alla stazione dei bus, per essere informato che il bus delle sei é pieno e rimane solo quello delle nove che arriva a mezzanotte in un posto che non é menzionato dalla mia guida. Decisione finale: rimanere a dormire nella pousada deprimente di fronte alla stazione, ritrovo di tutti gli scarafaggi e le zanzare della regione, per prendere il bus delle sette di mattina (che in realtá esiste).
Lo stato confusionale si attenua verso sera quando esco a prendere un po´ di fresco. Vengo accalappiato da un venditore di spiedini (manzo, pollo e una specie di cotechino che digeriró nel 2014) che ha parenti in Francia, ma non sa bene dove vivono. E´tutto eccitato, non so se sia cocainomane o semplicemente molto contento del suo lavoro. Non ho fame, ma mangio lo stesso tutta la carne, la manioca e il riso. Con i mesi sono diventato un cammello: mangio ora perché non si sa mai.
Da Parnaíba a Camocim sono due ore di bus extralusso. A Camocim, invece, bisogna prendere un camioncino Toyota che parte quando é pieno. Vedendolo carico di gente, avrei detto che era giá ora di partire. L´autista non sembra essere dello stesso avviso e si aspetta un´ora per essere sicuri che non rimanga neanche un centimetro libero (computo totale: 22 passeggeri). Nel frattempo faccio conversazione con Francisco, un ragazzo di São Luiz che riesce a capire il mio portoghese (e io il suo). Con il suo smarphone va anche sulla pagina del mio blog per vedere qualche foto di viaggio. Quando stiamo ormai perdendo la speranza, la macchina si mette in moto e fa tre metri per fermarsi alla stazione di benzina, poi ne fa trecento per fermarsi davanti ad una chiatta per attraversare il fiume: tutti giú, poi tutti su di nuovo per percorrere una cinquantina di chilometri di pura spiaggia: mare a sinistra, dune a destra. Ci si ferma di nuovo per far salire la Toyota su una mini-chiatta che viene spinta con delle pertiche. Dal lato lato altre macchine stanno attraversando il pezzo di mare e ci ritroviamo tutti a galleggiare spinti da uomini molto forti e molto sudati. Un altro pezzo di spiaggia e infine il paesino di Jericocoara appare all´orizzonte come una specie di oasi nel deserto. Dopo un giorno e mezzo di viaggio sono arrivato a destinazione.
Culo quadrato

domenica 5 settembre 2010

Lançois: dune e lagune

Se uno venisse bendato e catapultato a Lançois, invece che vicino alla costa nordest del Brasile, crederebbe di essere in mezzo al Sahara. Delle dune di sabbia bianchissima e finissima che entra dappertutto (vestiti, zaino, capelli e - chiaramente - macchina fotografica) si perdono a vista d´occhio. Qua e lá qualche traccia di vegetazione e delle lagune pluviali in cui si puó restare a mollo. Il gioco piú bello é buttarsi giú dalla duna piú alta e atterrare in acqua schizzando gli altri gitanti che sono arrivati su jeep sobbalzanti e scodanti per sentieri pieni di sabbia.
L´uomo é un animale gregario e tremendamente pigro. Appena arrivati alle lagune, quasi tutti si immergono per rimanerci tutto il tempo. I rarissimi temerari che camminano un po´ in giro scoprono panorami mozzafiato in totale solitudine (sola beatitudo). Ci si puó anche coprire di sabbia calda o semplicemente lasciarsi camminare sulla cresta delle dune sentendosi Mosé. Poco prima delle sei di sera il sole colora la sabbia di un rosso caldo prima di scomparire all´orizzonte in un quadro da cartolina sdolcinata. Tre secondi dopo, una decina di jeep stracariche di turisti inscenano una gara all´ultima curva tentando di arrivare per prime alla chiatta che permette di attraversare il fiume. Tutti i sentieri portano al fiume per cui le macchine si incrociano, si seguono, per poi prendere strade diverse tentando di mettersi di nuovo davanti all´incrocio successivo, rischiando di capottarsi. Le sospensioni soffrono, le nostre schiene anche. Perdiamo la gara ed é un miracolo se non perdiamo anche qualche turista per strada.
Little Camel Trophy

venerdì 3 settembre 2010

São Luiz

Tre cose riempiono le strade di São Luiz: chiese evangeliche (alcune sono grandi come palazzetti dello sport, altre non sono che dei garage riconvertiti in cui predica la padrona di casa di fronte alle vicine), ricevitorie della lotteria nazionale e agenzie che offrono prestiti facili e agevolati. São Luiz é questo: fede, speranza e povertá.
Arrivato alle dieci di mattina dopo aver passato la notte insonne nell´aeroporto di Manuas e cercando di ritirare soldi da bancomat riluttanti, mi sono chiesto come mai São Luiz sia stata inserita nella lista dei siti ¨patrimonio dell´umanitᨠdell´UNESCO. Carina sí, ma non di piú. C´é voluto l´arrivo della sera per scoprire un centro storico caldo e accogliente, con gente per strada, musica dal vivo e anche un bel cinema (non lontano da quello piú frequentato, il cinema a luci rosse). Al calar del sole la luce diventa avvolgente ed il sole si immerge nella baia dove il fiume incontra il mare. Un uomo sta caricando la sua barca di legno con un albero improvvisato ed una vela arrotolata. La chiglia tocca il fondo per la marea bassissima. Lo osservo per vedere come fará a caricare tutto il materiale che ha accatastato sulla banchina: stufe a gas, mobili, scatoloni, strutture metalliche e varia mercanzia che ripercorrerá il fiume in senso inverso. La stiva sembra essere infinita.
Al secondo piano di un palazzo coloniale con soffitti chilometrici, un gruppo di capoeira festeggia il compleanno di una di loro. Una trentina di persone suonano percussioni, ballano lottando(o lottano ballando), battono le mani, cantano su ritmi ripetitivi di chiara origine africana. Benché sia un´arte marziale, nessuno vince, ma lo spettacolo di uomini e donne che saltano e si rigirano come gatti é veramente unico.
Il secondo giorno scopro che São Luiz é semplicemente stupenda. Bisogna avere il tempo di camminare per le strade che costeggiano la baia, perdersi per il quartiere storico, guardare le case che cadono in pezzi a fianco a quelle in cui vive la gente, ignara degli azuleios e della nobiltá che passegiava qui un secolo e mezzo fa: chi si fa la pedicure, chi gioca a domino a petto nudo sbattendo i pezzi come volesse rompere il tavolo, chi guarda i bambini andare in bicicletta e chi sta semplicemente seduto in strada a prendere la brezza fresca della sera. São Luiz fa parte di quei luoghi che ancora prima di essere visti e ammirati sono vissuti, giorno dopo giorno, senza pensarci troppo.
Roda

mercoledì 1 settembre 2010

Amazzonia

Piú che ¨Cuore di Tenebra¨, la cittá di Manaus sembra l´intestino crasso dell´Amazzonia. Una jungla di cemento e asfalto, un milione e mezzo di abitanti nel mezzo del nulla, collegati con il mondo da un fiume, con la prima strada connessa al resto del Brasile a quattro giorni di navigazione. Per quanto brutta, sporca e cattiva, Manaus é il passaggio obbligato per tutte le merci che dall´Ecuador e il Peru devono arrivare alla costa atlantica e per tutti i turisti che vogliano assaggiare il gusto della selva.
¨Qui le donne non sono solo belle, ma anche facili¨ mi urla in spagnolo tra raffiche di vento, guidando a 120 all´ora per le strade deserte di mezzanotte, un uomo dal forte accento argentino. E´ il fratello del padrone di Manaus Suites, un albergo che di chic ha solo il nome. ¨In Argentina sono belle, ma é come guardare Playboy¨. L´uomo parla a raffica e sembra insensibile alla mia faccia da sonno, prodotto di scarto di sei ore di bus e quattro di aereo. Per fortuna dopo avermi spiegato ¨ïl come si fa nella vita¨ parcheggia in una strada desolata, di fronte ad un edificio grigio e scrostato. Benvenuto nel centro di Manaus. La stanza é decente, anche se emana una sensazione di sciatta decadenza. Le finestre sono di cartta velina. Sembra di dormire in strada. Poche ore di sonno e, la mattina presto, la luce del sole ha il potere magico di cambiare la cittá: il centro si riempie, la gente cammina per strada, la cittá si anima.
Grazie alla perfetta (dis)organizzazione brasiliana (non si puó essere allo stesso tempo sempre rilassati e sempre efficienti), l´ora di partenza é stata spostata dalle 7.30 alle 8.30. Mi informa della cosa un personaggio a metá tra il matto di paese ed il serial killer che mi urla ¨erro¨ ¨erro¨ (pronuncia ehho, che vuol dire appunto errore). Dopo vari tentativi (il suo cellulare non ha credito, quello di un passante non funziona e il telefono pubblico nemmeno) mi passa al telefono un uomo che parla spagnolo e inglese, ma in compenso non sa come mi chiamo, da dove vengo e che tour ho prenotato. Manaus é uno di quei posti insopportabili dove il viaggiatore non é piú un essere umano e diventa un pacco postale da caricare su una barca. Aspetto le 8.30 seduto sul marciapiede. Il guardiano dell´immobile mi consiglia di entrare nell´androne perché ho scelto il posto preferito da tutti gli aggressori della cittá. Verso le 8.45 arriva una donna sulla sessantina che conosce il mio nome e mi dice di seguirla. Dopo cinquanta metri mi dice di aspettare un uomo olandese. Passa gente che va e che viene. Passano bus, macchine, camion. Dopo mezz´ora appaiono due brasiliani zainati, una coppia americana ed il famoso olandese che ha la faccia da maniaco e che ci accompagna al porto fluviale.
Il Rio delle Amazzoni é un fiume che sembra un mare, nero come il petrolio. C´é traffico di ogni tipo d´imbracazione: c´é la nave mercantile che trasporta centinaia di containers arrivata dal mare, c´é la piccola lancia con il motore attaccato ad una pertica che fa un rumore d´inferno ma va pianissimo e ci sono dei barconi fluviali attraccati uno a fianco all´altro. Ne parte uno per Iquitos, Peru, stracarico di gente. Il ponte é un arlecchino di colori. Sono le amache di quelli che non hanno cabina e che dormono uno sopra l´altro come tanti pipistrelli. Arriveranno a destinazione tra vari giorni e hanno probabilmente portato con sé abbondanti riserve di cachaça.
Poco ad est di Manaus, il Rio Negro che viene dalla Colombia (3000 km piú a monte) e il Rio Solimões che viene dall´Ecauador (7000 km) si danno appuntamento. Il primo é nero, caldo e lento. Il secondo é beige chiaro, piú veloce e piú freddo. Quando si congiungono rimangono appaiati e separati nello stesso letto, scorrendo per molti chilometri senza mischiarsi: il bianco ed il nero, come un gigantesco biscotto Ringo. Vicino all´incontro delle acque c´é una laguna che durante la stagione delle piogge é connessa al fiume (il livello varia di una decina di metri a seconda della stagione). Sulla superficie dell´acqua immobile galleggiano delle enormi foglie di ninfea dai bordi rialzati che sembrano delle teglie da crostata dal diametro di un paio di metri. Un movimento repentino dell´acqua ci dice che c´é un uccello in meno in Amazzonia ed un coccodrillo piú sazio.
Si riparte in direzione ovest, lasciando indietro i brutti edifici di Manaus. Le sponde tornano ad essere verdi, c´é solo acqua, cielo ed alberi. In una piccola insenatura appare una casa galleggiante che si appoggia a dei tronchi che hanno iniziato a marcire. E´ il nostro ¨lodge¨ che si approvvisiona di acqua dal fiume e non ha energia elettrica. Qualche avventore in costume fa il bagno, altri aspettano di mangiare, mentre iniziano le tipiche conversazioni da viaggio (quando sei arrivato, quando parti, dove sei stato, cosa fai, etc...).
Nel pomeriggio c´é la prima di una serie di ¨attivitá¨: la pesca al piranha. Se uno dovesse avere bisogno nella vita di sentirsi un vero idiota, consiglio vivamente di passare un´ora con una canna di bambú in mano, con un pezzo di carne attaccato all´amo. Piú che un pescatore sono un vero benefattore perché i piranha si mangiano mezzo chilo di carne senza abboccare una volta. Gli altri compagni di sventura non fanno di meglio. Per fortuna il supplizio finisce e si torna al lodge tra le farneticazioni di Nick, la pseudo-guida americana con la faccia da surfista che - negli intervalli di monologhi fricchettoni sull´energia negativa sprigionata dalle uova (sic!) - traduce in modo approssimativo le spiegazioni in portoghese del barcaiolo. Per fortuna il tramonto non ha bisogno di commenti. Mentre la barca galleggia silenziosa in mezzo al Rio Negro aspettando che il cerchio rosso fuoco si immerga nell´acqua, anche il logorroico Nick tace. Riprende a parlare dopo cena, quando ci imbarchiamo per la caccia al caimano, senza sapere ancora se questo emani energia positiva o negativa. Di caimano non se ne vede mezzo, in compenso il giro in piroga tra gli alberi ed i canali strettissimi, tra i rumori della notte é un vero spettacolo della natura. Di ritorno al lodge tutti a nanna: chi in una specie di stanza dalle pareti di legno e chi - come me - in amaca, sperando nella clemenza delle zanzare.
L´alba in Amazzonia é forse ancora piú bella del tramonto. Il sole si annuncia colorando il cielo di rosso mentre dei delfini di fiume affiorano in superficie per scomparire sott´acqua. Nessun quadro o foto puó riprodurre la sensazione di pienezza che emana, una sensazione che ci si porta dietro per tutto il giorno. Il resto della mattinata prevede una camminata nella foresta. Horny, la guida locale, cammina davanti a tutti con un machete. Quando trova una pianta che lo interessa si ferma per farci assaggiare un frutto, costruire una trombetta o spiegare un utilizzo farmaceutico. Scopro che Vick é il nome di un albero dalle proprietá balsamiche che é all´origine del Vick Vaporub che tanto odiavo da bambino. Horny apre anche delle specie di noci da cui estrae un grosso verme bianco che si puó mangiare. Vesto i panni di Indiana Jones e lo assaggio. Non é male, ha un gusto tra il cocco e la mandorla, anche se fa un po´schifo schiacciarlo tra i denti.
Nel pomeriggio i spostiamo in barca per passare la notte nella foresta. Detto cosí sembra molto romantico. Nella realtá sbarchiamo in un posto, camminiamo due minuti ed aspettiamo un´ora che il pollo si cuocia sulla brace, prima di andare a dormire nell´amaca. I componenti della spedizione sono - oltre a me - i due brasiliani che sembrano bavaresi (i brasiliani del sud sono quasi tutti di origine tedesca o italiana), Hema, una malesiana di origine tamil che viveva a Londra e si trasferirá a Sidney e Amedeo, studente ticinese di medicina in vacanza-studio. Durante la notte Charles, il brasiliano piú grosso, si incarica dell´indesiderata colonna sonora notturna, mentre Hema si gira e rigira nella sua amaca e - nonostante i suoi veni chili scarsi - fa tremare tutta la struttura di tronchi a cui siamo appesi come se ci fosse un terremoto.
Il pranzo del terzo giorno conferma i sospetti maturati in precedenza: la virtú principale della cuoca del lodge non é la fantasia. I pasti sono tutti i giorni totalmente identici, con l´unica differenza che si mangia pesce a pranzo e pollo a cena. In compenso scopro che Nick ha un talento musicale che sfodera in presenza di ragazze. L´unico problema é che quando suona si ha l´ínvincibile istinto di prendergli la chitarra e trasformarla in una zattera. Il meglio del suo talento, Nick lo riserva per le serate di cielo stellato, quando lo si sente urlare a squardciagola dal centro del fiume, a beneficio dei malcapitati che hanno accettato il giro in barca notturno accompagnato da serenata folk. Anche con tale inquinamento acustico il cielo di notte é uno spettacolo da lasciare senza fiato. Si vede la via lattea e le stelle piú luminose si riflettono nell´acqua piattissima del rio. Sono stelle diverse quelle dell´emisfero australe. Nonostante Amedeo tenti disperatamente di trovare la Croce del Sud, mi devo accontentare di Venere e di un altro milione di stelle e pianeti sconosciuti.
Il lodge é un vero porto di fiume: persone vanno, altre vengono. Partono i due tedesco-brasiliani, carichi come muli nonostante rimangano in giro solo una settimana, arrivano due ragazze di São Paulo che risvegliano l´attivismo da anni sopito delle guide e dei barcaioli. Invce di passare il tempo a dormicchiare come sempre si riscoprono grandi nuotatori, cacciatori di caimani (effettivamente al secondo tentativo ne catturano uno) e grandi conversatori (con scarsi risultati perché il portoghese che parlano é quasi incomprensibile). Arrivano anche due australiani che sono in Brasile per studiare la capoeira, l´arte marziale tipica di bahia e del nord est. Nell´Amazzonia si danno al farniente e si uniscono ad Amedeo e a me nell´antica arte della produzione di caipirinha calda, con cachaça comprata ad un baracchino sul fiume e limoni sottratti piú o meno lecitamente al lodge. Per due giorni passiamo la mattinata tra le isole e i canali del Rio Negro alla ricerca di uccelli ed altri animali (la leggenda narra che ci siano dei bradipi). Nel pomeriggio e alla sera ci dedichiamo invece al bere e alle carte, come la vera gente del porto, lasciando scorrere il tempo al ritmo lento dell´acqua del fiume.
Gesú Bambino