sabato 29 gennaio 2011

Le stelle

Le stelle sono belle da vedere e brillano lucenti, ma si vedono solo di notte. Di giorno la luce del sole e' troppo forte. Le stelle sono timide, non appaiono istantaneamente. Devi aspettare un po' di tempo e poi le vedrai. Dove vanno a dormire le stelle? Da nessuna parte. 
Se tu guardi le stelle con il cannocchiale sono gigantesche. Alcune - ogni tanto - cadono, ma non si fanno mai male. Altre vanno e vengono, come le nuvole, ma non si fermano. Passano veloci e quando sfiorano il sole si mettono uno strascico bianco come le spose. E poi se ne vanno come sono venute, lasciandoci ad aspettare il loro ritorno per centinaia di anni. Io non ho mai visto una stella cometa. E tu? Se esprimi un desiderio secondo me si avvera.
Io le stelle le adoro perché illuminano tutta la terra seza fare rumore. E' bello quando stai volando sopra un mare di nuvole e mandi lo sguardo verso l'alto e vedi una coperta nera piena di punte di spillo. E magari pensi a Kant o sei semplicemente leggero.
Le stelle sono luminose perché c'è il buio e il buio è scuro.

(testo di Matilde Valenti e Francesco Bruscoli, rispettivamente 6 e 36 anni)

domenica 23 gennaio 2011

Haiku



Vista sull'inverno


Bianchi sceletri
Cadono pesanti le
Foglie di neve

giovedì 20 gennaio 2011

Di ritorno

E' tornando a casa (se si può chiamare casa un albergo) tardi la notte, dopo una cena di Natale sposatata al venti di gennaio che qualcosa si muove dentro di te. Stai camminando sotto radi fiocchi di neve per le strade sconosciute e fredde di Zurigo. Hai lasciato colleghi alticci parlare di lavoro e soldi e figa (insomma le cose che interessano a tutti). Ti sei anche fumato una sigaretta, tu che odi il fumo , che hai rotto i coglioni a tutti quelli che ti circondano perché smettessero di fumare. Lo hai fatto perché in fondo anche tu hai bisogno di quel qualcosa in più per sentirti più sicuro di te, oppure solo perché non volevi startene solo sul divanetto a guardare il muro di fronte come la sera precedente (con la differenza che la sera prima c'era un concerto jazz stupendo e il tuo sguardo si perdeva in mezzo a note che danzavano nell'aria e non sembravi un perfetto imbecille). E sei anche stanco, la settimana é stata lunga, hai dormito poco, hai appena iniziato un nuovo lavoro in una città che non conosci dopo un anno di cazzeggio estremo. Insomma hai tutte le scuse del mondo per esonerarti da ogni colpa, ma mentre stai tornando verso il tuo albergo sotto la neve, senti quella familiare sensazione di perenne sconfitta che ti accompagna da anni. E non importa se la sconfitta é importante oppure frivola, se un uomo é stato torturato e ucciso perché tu non hai fatto abbastanza per lui, oppure una ragazza ti ha ignorato o fatto finta di farlo. Non importa perché in fondo a te stesso quella sconfitta ti piace. Non solo, ma ogni volta che ti senti un vincente perché attorno a te si moltiplicano i simboli del potere, non stai bene finché non ti senti perduto e solo: camminare sotto la neve in mezzo ad un centro senza un'anima, oppure in mezzo ad un deserto sotto un cielo di stelle. Perché daresti tutti i biglietti di business class per dodici ore di un bus scassato e puzzolente nel mezzo del nulla, perché in fondo non te ne frega niente della politica del potere, che continui a guardare come fosse una manifestazione antropologica, con quel gusto e quel distacco supponente da pseudo-intellettuale, che si compiace della sua presunta superiorità.
Ed é continuando a camminare, rincorrendo un tram di mezzanotte per non prendere un taxi che ti senti bene, quasi felice. E fai le scale tre alla volta come nella canzone di Dalla, ma invece di sederti sul divano ti metti di fronte al tuo computer e scrivi. E poi hai in testa già la frase che scriverai alla fine del tuo racconto. Sai già che nonostante tutte le vittorie a cui potrai aspirare in vita tua, l'unica cosa che ti fa sentire te stesso é la tua malinconia, che non scambieresti per tutta la felicità del mondo, perché quella malinconia ti definisce più della tua carta d'identità, quella melancolia sei tu.

sabato 15 gennaio 2011

Habemus casam


Martastrasse 114, 8042 Zurich. L'indirizzo è un po' freddo, ma questo sarà il posto che chiamerò casa per un po' di tempo (mesi? anni?). E' la prima casa non ammobiliata in cui vivrò, segnale ineluttabile che sto diventando grande. Ci entrerò il primo febbraio, il giorno del mio compleanno, rispettando la tradizione che voleva che iniziassi o finissi una missione (Etiopia, Tunisia).
Ho superato la selezione degli affamati di casa, ho vinto la lotteria tra la massa di quelli che volevano abitarci. Ho corrotto l'inquilina che ci abitava in cambio di facili risate ottenute con gesti e parole da guignol: mi ha raccomandato all'agenzia. Il mio contratto di lavoro ha fatto il resto. In fondo sono una persona più che rispettabile. Quando mi metto in giacca e cravatta mi verrebbe voglia di votare per me stesso alle elezioni. Mi metto raramente la giacca e quasi mai la cravatta. Ho poche possibilità di eleggermi.
Le stanze avrebbero forse visto facce più felici, forse più tristi, ma vedranno la mia. Adesso devo trovare dei mobili, dei soprammobili, dei sopra-soprammobili, degli inner-mobili. Dovrò svuotare la cantina di mio padre di palle di vetro comprate ad Hebron, ceramiche tunisine, tessuti boliviani e portare tutti i miei viaggi in soggiorno a tenermi compagnia mentre leggo un libro in ciabatte (di goretex).

venerdì 14 gennaio 2011

Ciao Zinelabidine

C'è avenue Bourghiba in televisione, la strada principale di Tunisi. Non ci sono uomini con i baffi e il giubbotto di pelle nera che bevono caffé atroce, fumando sigarette e guardando il culo alle ragazze. C'è polizia, manifestanti, botte, rabbia. Il paese più sottomesso del mediterraneo si è svegliato, gli agnelli hanno tirato fuori i coglioni. Se mi avessero detto due settimane fa che Ben Ali sarebbe scappato come Mobutu, con tutto il suo codazzo di parassiti e mafiosetti da strapazzo, gli avrei riso in faccia. Ben Ali sembrava scolpito nel marmo, i capelli tinti intagliati nell'ebano.
La Tunisia ha avuto due presidenti dalla sua indipendenza: Bourghiba e Ben Ali, e un solo regime. Il cambiamento in Tunisia è sempre esistito solo ed esclusivamente nella retorica. Le Changement, o meglio le Renouveau, il nome del giornale del partito, versione maghrebina della Pravda sovietica.
Addio Ben Ali, portati dietro i tuoi sette di novembre,  le registrazioni delle mie telefonate, la tua moglie shampista, il viola (il colore presidenziale), le tue microspie e la tua faccia da Shrek che appariva sulle gigantografie ad ogni angolo di paese.
Stammi bene, ma non troppo.

lunedì 10 gennaio 2011

Dieci pillole di surrealismo

Guardare la televisione e vedere il mio nuovo gran capo Sepp Blatter spiegare l'utilità di organizzare la coppa del mondo in Qatar in inverno e poi girare canale e vedere il mio ex-gran capo Yves Daccord parlare di comunicazione nel mondo dell'umanitario assieme ad una giornalista e ad un fumettista.

Scoprire che la mia seconda missione "sul campo" sarà inaugurare un campo da calcio alle Seychelles e un altro alle Mauritius.

Cantare la "Ballata dell'amore cieco" assieme ad un tassista di Zurigo che mi porta al municipio.

L'apertura della borsa di Ventiane in Laos, con solo due società statali in listino.

Fare la doccia assieme a dieci colleghi dopo aver giocato a calcio e poi rimettersi la camicia ed andare ognuno nel proprio ufficio come se niente fosse.

Fare la foto ad un turista cinese assieme alla replica della coppa del mondo e spiegargli che quel giorno nessun giocatore famoso era nei paraggi.

La notizia sui tafferugli tra la polizia e gli uomini d'affari del Bangladesh arrabbiati per la caduta della borsa.

La Porsche lanciata a tutta velocità che inchioda per farmi attraversare le strisce pedonali. Ed io che mi stavo semplicemente guardando attorno e non ho neanche attraversato la strada.

Quando la gente ti parla di Langstrasse a Zurigo come se fosse un sobborgo malfamato di Guatemala City e poi ci vai e ti sembra al massimo di essere a Ginevra.


Guardare la BBC e leggere in sovraimpressione che tra le farfalle c'è alternanza nel ruolo della seduzione tra maschi e femmine (beati/e loro).

venerdì 7 gennaio 2011

Prostituirsi per una casa

Non ho mai pensato che affittare un appartamento a Zurigo costasse poco. Niente in Svizzera costa poco, neanche i kebab. Ma oltre a pagare un affitto con cui in Italia uno potrebbe pagarsi un attico con idromassaggio, c'è un altro problema. Ed il primo problema è proprio farsi dare l'appartamento anche se accetti il prezzo.
Uno penserebbe che si organizza la visita, si parla con il padrone di casa e se tutti sono d'accordo tu hai il tuo appartamento. Nein, hier wir sind in der Scweiz. Se vuoi un appartamento devi andarci durante le "ore di visita", ovvero i momenti in cui il padrone di casa la apre al pubblico. E non sei solo. Se ti va bene ci sono altre cinque o sei persone che girano per casa guardandoti in cagnesco (quanto guadagni tu? mi puoi fregare la casa? hai un passaporto comunitario? non mi dire che sei svizzero!). Il padrone di casa risponde alle domande, poi ti dà un formulario di iscrizione con cui tu ti metti in lista per poi sperare di essere il vincitore della lotteria.

lunedì 3 gennaio 2011

Zurich

Le strade sono vuote, il tram anche. Sembra domenica alle sei di mattina, eppure sono le otto e venti di lunedì. Dove saranno tutti? Chiusi in casa? Avranno paura del freddo? La crisi economica? I postumi dei bagordi di Natale?
Scendendo la scalinata per andare alla fermata ho visto arrivare il mio tram, il numero sei, direzione Zoo. Mi sono messo a correre come un pazzo e mi sono subito reso conto che o prendevo il tram o compravo il biglietto, non c'era tempo per fare l'uno e l'altro. Ho preso il tram, mi sono seduto guardandomi attorno. Tutto era pulito, la gente tranquilla, faceva caldo. Mi sono sentito bene. E un attimo dopo sono stato preso da un acuto malessere. Non era la paura di essere multato da impassibili gendarmi svizzeri. Era il senso di colpa per approffittare dell'efficientissimo sistema di trasporti pubblici di Zurigo. Al ritorno per compensare la mia impertinenza ho comprato due biglietti.

Quando sono tornato sfinito, mi sono messo a guardare la televisione. C'era la BBC e mi sono guardato un telegiornale che parlava della crisi in Costa d'Avorio, delle reazioni dei copti in Egitto e di una nave di migranti etiopi che si è rovesciata nel Mar Rosso. Poi ho girato sul TG1 e c'era un servizio sulle calorie del panettone, seguito da un'intervista ad un dietologo con il camice bianco che spiegava che bisogna mangiare il pesce e la carne con l'insalata, con un po' di pane.
Buon appetito

domenica 2 gennaio 2011

Ottimismo ferroviario

Una donna con in spalla lo zaino più grande del mondo. Quattro inglesi burrose con i capelli rossi. Un uomo grande che tiene in braccio un cane piccolo con il muso schiacciato. Gente con il trolley, altri con valige con le ruote. Passa un pachistano con un carrello stracarico di valige. Passa una comitiva con gli sci. Ragazze in minigonna: calze nere e seduzione. Nell'aria restano sospese parole in inglese, polacco, spagnolo, napoletano come gocce che non trovano la forza di cadere a terra. La stazione centrale il due di gennaio: più che la Milano da bere sembra la Milano che non ha ancora digerito il cenone di capodanno.
Degli schermi grandi come un campo da calcio mandano scene natalizie mute e posticce: luci, gioia, shopping. Tutto è splendente, tranne il cielo (grigio) ed il pavimento (sberciato).
Vanno tutti di fretta, chi non corre muore schiacciato dalla massa. In pochi stanno fermi, ma quelli che hanno scelto il marciapiede tra il binario 8 e il binario 9 hanno l'aria divertita. "Porca troia non è possibile!", "brutti figli di puttana bastardi", "cazzo che paese di merda!". Scopro con grande stupore che nell'Italia assuefatta al declino e ipnotizzata dalla melma televisiva c'è ancora un barlume di speranza, un angolo di paese dove l'indignazione è ancora possibile. Tra il binario 8 e il binario 9 c'è l'unica macchinetta obliteratrice funzionante della stazione centrale. Ci sono persone che sono partite dal binario 1 in cerca dell'illuminazione come i re magi. Molti la guardano come un miraggio, altri con il terrore che la lucetta rossa si accenda all'improvviso facendoli cadere irrimediabilmente in uno sconforto cosmico. Altri, invece, scoppiano in lacrime di gioia quando riescono a timbrare il biglietto. Uno si inginocchia e prega. I più se ne vanno di fretta imprecando contro le donne, il tempo ed il governo.
Purtroppo il mio treno arriva e devo abbandonare la macchinetta che è diventata inaspettatamente il principale centro di socializzazione della stazione più frequentata d'Italia, nel periodo più frequentato dell'anno. Quella macchinetta è l'unico posto in cui la vecchietta impellicciata ringrazia con un sorriso a ottanta denti il senegalese clandestino per averla aiutata a sopravvivere alla feroce rivalità della famiglia milanese con gatto persiano al seguito comodamente accoccolato in una gabbia rosa. La macchinetta ha fatto il miracolo. Il razzismo è diventato tolleranza, forse con un po' di pazienza l'acqua si tramuterà in vino ed il pane in cheesburger.
La macchinetta ci salverà (o forse ci ha già salvato).