domenica 12 settembre 2010

Sono distrutto


Per viaggiare in Brasile bisogna avere un fisico bestiale (che io non ho). Alle dieci e mezza di sera un camion su cui sno montate sedie di plexiglas parte da Jericocoara per Jijoca, guidando in stile Parigi-Dakar sulla pista di sabbia. Quando prende un´avvallamento si viene catapultati verso l´alto e si galleggia come se si fosse in assenza di gravitá. Come dice Kassovitz nell´Odio, il problema non é tanto la caduta, il problema é l´atterraggio. Consiglio il viaggio per chi ha problemi di cervicale: li risolverá alla radice eliminando direttamente la colonna vertebrale.
A mezzanotte si scende dal camion per salire su un bus recentemente utilizzato per il trasporto di pinguini. Sarebbe bello poter dormire, ma un´anima sadica ha disseminato di rallentatori l´intero tratto Jijoca-Fortaleza, per cui invece che su un bus sembra di essere sulle montagne russe. Alle quattro e mezza di mattina sbarco a Fortaleza con occhi vitrei e istinti omicidi non tanto repressi, che si acquiscono quando vedo la calca per entrare nell´ufficio della compagnia Guanabara, l´unica - sembra - che viaggia a Recife. Degli impiegati stanno tentano in tutti i modi di aprire la porta che non ne vuole sapere di cedere. Quando infine vincono la strenua resistenza meccanica un´ondata umana si riversa all´interno assaltando l´impíegato che distribuisce i bigiettini con i numeri. Dopo aver resistito alla calca e aver piantato un gomito nel costato di un mio avversario diretto alla sopravvivenza, riesco ad ottenere il numero 33, gli anni di Cristo. Come molte cose in Brasile, il sistema ha una falsa apparenza di efficienza, ma é intrinsecamente deficiente. I criteri di prioritizzazione del computer creano una chiara (almeno per me) discriminazione contro coloro che comprano biglietti (la maggioranza), a favore di queli che hanno richiesto ¨outros servicios¨ e ¨acceso prioritario¨ (non é chiaro di che si tratti in entrambi i casi). La cosa genera non poche tensioni e verso le cinque e mezza volano parole grosse (o almeno cosí credo visto che mi sfugge la metá degli insulti profferiti da un signore molto poco British). Dopo un´ora d´attesa riesco a comprare un biglietto per il prezzo assolutamente vergognoso di 60 euro, ovvero esattamente il valore di tre notti nella pousada di Jericocoara.
Quando il bus parte mi immergo in uno stato di semicoscienza, scossa dalle vibrazioni del motore (per qualche strana ragione sono sempre seduto nell´ultima fila, a fianco del bagno) e dalle frequenti fermate. Non riesco a capire se si tratti di stazioni intermedie, code per lavori i corso o dell´autista con problemi di prostata. Il tempo scorre in modo irregolare: a volte vola, a volta sembra bloccato. A mezzogiorno c´é la pausa pranzo, in un locale che una griglia piú grande di una piscina su cui arrostiscono chili di carne. Dopo l´abbuffata si riparte. Cado in una trance di tre ore, da cui mi risveglio con un compagno di viaggio seduto a fianco a me (non ho idea quando si sia materializzato). La luce del sole si fa via via piú tenue, finché la strada é avvolta da un buio impenetrabile: non un raggio di luna, non un lampione, solo il raro fascio proiettato da una macchina in senso contrario. Le lancette dell´orologio girano. Recife non dovrebbe essere lontana, e invece lo é. Alle sette e mezza, alla pausa per la cena, scopro che siamo solo a João Pessoa, a piú di due ore. Siamo in ritardo di quasi tre.
Alle dieci di sera il bus fa l´ultima frenata nella stazione spettrale di Recife. In giro non c´é nessuno. L´idea di attraversare una cittá da un milione e mezzo di abitanti di notte non mi attira per niente. Paura infondata visto che il treno urbano per andare in centro é piuttosto frequentato e soprattutto pattugliato da agenti di sicurezza come se fosse l´ambasciata americana a Kabul. Alla stazione prima della mia scendono tutti e mi ritrovo completamente solo nel mio vagone. Aspettando il bus per Olinda, vedo passare tutti gli spazzini della cittá che rientrano a casa in bicicletta come in un un film di Charlie Chaplin. Sono le undici di sera e avrei voglia di fare come loro. Il posto piú vicino ad una casa si chiama Pousada Olinda che sembra avvicinarsi poco a poco. Il tragitto in bus mi sembra piú lungo del previsto e chiedo al venditore di biglietti (che viaggia sul bus) quando arriveremo a Olinda. Lui cade dalle nuvole e mi dice che si é dimenticato di avvisarmi. Devo scendere e prendere un bus nel senso inverso (é fortunato che il mio coltellino svizzero é poco pratico per uccidere membri del sindacato trasporti). Per un colpo di fortuna il bus nel senso opposto passa in quel momento e l´autista gli fa cenno di fermarsi. Salgo, scendo alla fermata giusta, trovo la pousada, mi tolgo lo zaino dalla schiena. E´mezzanotte, ho viaggiato per 25 ore e mezza di filato.
Boa noite

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