domenica 10 ottobre 2010

Sogni di sale

Il giro per il salar de Uyuni inizia con un'esperienza musicale surreale: la versione disco di "Voglio vederti danzare" di Battiato (secondo Wikipedia, la versione fu presentata nel 2003 al Festivalbar!). La musica è di Elois, l'autista della Land Cruiser Toyota un po' scassata di cui si aprono due porte su quattro. Sullo stesso CD c'è anche una versione de l'"Italiano" di Toto Cutugno e una serie di altre canzoni orride. Essendo l'unico CD in macchina, passerà in circolo senza interruzione per tre giorni.
La macchina lascia Uyuni, un posto in cui l'unica attrattiva è un cimitero di vecchie locomotive a vapore utilizzate il secolo scorso sull'unico binario - ancora in funzione - che collega la Bolivia al Cile passando per le Ande. Poco lontano da Uyuni inizia uno dei paesaggi più strani al mondo: un lago salato che durante la maggior parte dell'anno diventa un deserto di sale grande più che l'Abruzzo, che rispecchia di un bianco accecante la luce del sole a quasi 4000 metri sul livello del mare. La macchina corre veloce in un silenzio irreale, per piste che si distinguono a fatica. In mezzo al salar non si vede altro che bianco, in tutte le direzioni. Poi via via dei profili di montagne appaiono con degli effetti ottici che le fanno vibrare e ne tagliano i contorni in modo da farle sembrare galleggianti. In mezzo al salar c'è la isla del pescado, chiamata così perche` a forma di pesce, che appare come un minuscolo puntino nero per poi diventare un enorme scoglio in mezzo al mare di sale, piena di capelli a spazzola. Quando ci si avvicina ci si rende conto che i capelli sono dei cactus centemari giganti, alcuni dei quali arrivano ai nove-dieci metri. Da in cima l`isola lo spettacolo è unico, indescrivibile, accecante.
Lasciamo l'isola del pesce per andare a dormire in un albergo di...sale. I mattoni sono dei blocchi estratti dal salar e anche il pavimento è di sale fino. Verso le sei cala il buio sul paesino di San Josè. In una penombra spazzata da un vento gelido, dei bambini danno dei calci ad un pallone in uno dei campi da calcio piú sconosciuti e piú alti al mondo. Assieme ad altri gringos cerchiamo di fare una partita, ma i ragazzini ci guardano scettici e indicano il cielo che sta diventando scuro. Di qui a breve la temperatura scenderà sotto zero ed è meglio tornare a casa il più presto possibile.

Il secondo giorno di viaggio passiamo per dei paesaggi montagnosi e desertici, ma mai monotoni. Le montagne brulle sono intervallate da varie lagune, tutte di colori diversi: verde, rossa, blu. In molte di queste lagune ci sono dei fenicotteri rosa che camminano con le loro buffe zampe che si piegano al contrario, rovistando il fondo basso e melmoso alla ricerca di cibo.
La seconda sera si dorme a 4.400 metri, ma mentre i vari gruppetti di turisti si sistemano nelle stanze spartane per la notte, lascio tutti per salire sulla montagna vicina, camminando per due ore contro un vento feroce, con la laguna che si fa sempre piú piccola. Quando il sole cala, il freddo più pungente che abbia mai sentito si manifesta come una coperta di ghiaccio. Ma più che il freddo, quello che fa paura è il fatto che il rifugio ha dei vetri da casa al mare, un tetto di plastica e naturalmente non è riscaldato. Sfidando la sorte, esco la notte a guardare le stelle, con la via lattea che disegna contorni bianchi così densi da sembrare nuvole. Quando rientro mezzo congelato tento di dormire tra le risate sguaiate di un gruppo di francesi che dopo una bottiglia di vino sembrano dei moscoviti che rientrano a casa alle quattro di mattina ed il respiro da serial killer del mio vicino di letto.
La sveglia è per le quattro e mezza. Due ore dopo, ancora rintronati dal sonno e dallo sballottamento della pista sterrata, cammineremo in mezzo al vapore sulfureo sparato in cielo da decine di geyser. Un modo come un altro per riscaldarsi un po', anche se più ci si sta, più i vestiti diventano umidi. Ma le sorprese non sono finite. Alle sette di mattina, con una temperatura ancora ben al di sotto dello zero, appare l'ultima laguna da cui sale vapore che rifrange i raggi del sole nascente, facendo apparire e scomparire fenicotteri ed altri uccelli che si avvicinano all'acqua calda. Qui c'è una fonte termale e, dopo colazione, svestendosi alla velocità della luce, ci si può fare il bagno. La sensazione di piacere nel fare un bagno bollente in un posto gelido è senza pari. Quando si entra si ha voglia di rimanerci per l'eternità.
Il resto della giornata è logistica. Accompagnamo una coppia finlandese alla frontiera con il Cile: una casetta in mezzo al deserto, con una sbarra alzata. Faccio un salto dalla parte cilena senza che nessuno se ne accorga. Poi si riparte. Sdraiato sul sedile posteriore della Land Cruiser vedo passare in senso opposto decine di altre jeep che sfrecciano verso la frontiera sollevando nuvole di polvere. L'immagine è da film, la sensazione quella di dejà vu. Le frontiere mi mettono malinconia e gli addii, anche se con persone con cui si sono passati un paio di giorni, mi mettono tristezza. La soluzione è chiudere gli occhi e ascoltare la versione remixata di "Voglio vederti danzare" che passa per la quarantesima volta.
Dopo otto ore anche il deserto finisce e Uyuni appare come un miraggio: piccolo, brutto e polveroso, ma al miraggio non si guarda in bocca. Ad Uyuni ci si può fare una doccia semi-tiepida per un dollaro e mezzo, mangiare carne di lama per tre dollari ed aspettare un bus notturno per La Paz in cui neanche le coperte di lana grossa riescono a dare un minimo di calore.
Butch Cassidy

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