Gli aeroporti sono - per loro essenza - dei non-luohi atemporali e neutri. Ovunque, tranne in Colombia. Sul bus tra un terminale e l'altro dell'aeroporto di Bogota una ragazza boteriana (guance, tette, culo, tutto rotondo) vuole fare conversazione. Parte per un mese a studiare in Spagna ed ha paura della freddezza e della distanza umana degli spagnoli, che descrive come fossero degli orchi. La rassicuro dicendole che se andava in Finlandia le andava molto peggio. Come tutti i colombiani vuole sapere cosa penso della Colombia e della sua gente. Non mi molla finche' non sente la parola magica "calidez" (calore umano, da non confodere con "calor" che vuol dire caldo). Al controllo di sicurezza, dove di solito nel resto del mondo il massimo che ti dicono e' "si tolga la cintura e si sbrighi", la signora e' in vena di chiacchiere. Se volessi potrei fermarmi a bere il caffe' con lei e con il resto dei vigilantes che devono veder passare centinaia di stranieri ogni giorno, ma un italiano rimane sempre interessante, se non altro per parlare della coppa del mondo. Anche loro aspettano di sentire la parola magica "calidez" prima di salutarmi.
La pagina web dell'aeroporto di Quito lo descrive come il miglior aeroporto dell'America del sud. Senza dubbio e' il piu' veloce che abbia visto fin'ora: il mio volo doveva arrivare alle 20.10 e alle 20.20 sono gia' seduto nel taxi. La compagnia di logistica dell'aeroporto di Venezia (dove si puo' morire d'inedia prima di ricevere le valigie) dovrebbe venire qui ad imprare come si fa. A Quito rimango solo una notte in attesa del volo per le Galapagos. Ci tornero' piu' avanti. Il tassista che la mattina dopo mi porta in aeroporto e' ossessionato dal cambio climatico. Per tutta la mezz'ora del tragitto mi fa un elenco dettagliatissimo dei cambiamenti di temperatura, pluviometria, umidita', precipitazione nevosa, grandine e presenza/assenza di nebbia di tutte le zone geografiche del paese. Se lo incontra Al Gore gli regala il suo premio Nobel e magari anche l'Oscar.
Up in the air
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