A Pacallalta, un paese a 3.300 metri dell'Ecuador centrale dove la gente gira coperta fino alle orecchie, un negozio ha una vetrina piena di bikini.
Arrivare a Pacallalta da Otavalo doveva essere piuttosto semplice. Invece si trasforma in un gioco dell'oca di molte ore e cinque bus. Si inizia con un' attesa a bordo della Panamericana, con un poliziotto che assicura che il miglior bus - tra le decine che passano strombazzando - sta arrivando, bisogna solo aver pazienza ("ahorita llega, falta poco, diez minutitos mas"). Dopo 45 minuti, Claire ed io abbiamo una conoscenza dettagliatissima di tutti i crimini commessi contro gli stranieri nella regione nord-occidentale dell'Ecuador (furti, assalti, violenza varia), nonche' di tutti i turisti che sono morti o dati per dispersi tentando di scalare uno dei vulcani dei dintorni. Il poliziotto e' una macchina da guerra della conversazione e vuole sapere tutto sul consumo di droghe leggere e sul rapporto tra cittadino e polizia dell'Italia e della Francia. Cerchiamo di accontentarlo come possiamo e alla prima occasione saltiamo sul primo bus che passa salutandolo con la mano. La cosa si rivela poco fortunata perche', dopo aver passato una buona mezz'ora in piedi, il bus si ferma per il solito irreparabile guasto meccanico. L'autista si butta in mezzo alla strada fermando altri bus e riesce a far ripartire tutti i passeggeri, inclusi noi che rimaniamo in piedi fino a Quito.
Per confermare la mia teoria sulle indicazioni stradali, chiedo a tre persone come si arriva a Pacallalta e ricevo ben tre versioni diverse. Il bello e' che le tre persone si mettono a parlare tra di loro sulla migliore opzione e non arrivano ad un accordo. Alla fine scopriro' che ce n'e' una quarta, quella che prendiamo alla fine per aver domandato un quarto e ultimo parere. E' cosi' che prendiamo altri due bus per uscire da Quito ed un terzo per arrivare a destinazione, nel posto piu' freddo del mondo.
Nonostante tutto tiriamo fuori i costumi da bagno dai nostri zaini, camminiamo per una strada sterrata bagnata e fangosa ed entriamo in paradiso. Circondate da montagne, pascoli e vacche, piscine di acqua termale a varie temperature. Vista la goduria facciamo una prima sessione pomeridiana e - dopo aver mangiato nell'unico posto aperto nel deserto della sera - anche una sessione notturna con l'aria gelida della notte che crea nuvole di vapore. Il problema non e' tanto rimanere al caldo, quanto dover uscire alle dieci di sera e rivestirsi nel freddo polare. Come conseguenza ci ritroviamo entrambi il girno dopo con un raffreddore monumentale.
Claire se lo curera' a Parigi, mentre io tento di convincere un farmacista di Latacunga a vendermi una qualsiasi medicina generica. Niet. Tutti i farmacisti sono inflessibili: serve la ricetta medica. L'unica cosa che riesco ad ottenere, sotto lo sguardo di disapprovazione come se fossi un tossico in cerca di metadone, e' una scatola di vitamina C. Poco dopo entro in una cartoleria a comprare un quaderno e vedo sullo scaffale dietro la commessa tutta una serie di medicinali anti-influenza. Le chiedo una scatola e lei me la vende senza ricetta.
Bayern
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