sabato 24 luglio 2010

Quito

Aria cristallina, luce limpida, sembra di essere sulle Dolomiti. Invece questa e' Quito, la seconda capitale piu' alta del mondo dopo La Paz: uno stretto e lunghissimo corridoio di strade, case e palazzi in una vallata a 2850 metri di altitudine.
Qui ritrovo Yves, il mio ex-capo di Tunisi che ha sposato un'ecuadoriana ed e' qui in vacanza. Vengo immediatamente adottato dalla sua famiglia, che farebbe la gioia di Casini. Sonia, sua moglie, ha otto tra fratelli e sorelle, quasi tutti sposati con figli (a differenza di Casini, nessuno divorziato). A casa dell'abuelita, il centro matriarcale della tribu', c'e' un tavolo lungo un chilometro attorno a cui mangiano, bevono, a volte ballano e - soprattutto - parlano decine di parenti. Lo spagnolo che parlano e' piuttosto buffo, infarcito di diminutivi. Non solo di nomi propri - inclusi quelli francesi (Yvisito e Cloecita) - ma anche di oggetti comuni come carne, riso o acqua e addirittura di avverbi come "qui" (aquisito) o "tutto" (todito). E' una lingua di una tale dolcezza che puo' apparire quasi stucchevole.
Con Yves andiamo a bere in un caffe' che ha una vista a 180 gradi sulla citta': le luci della notte che si accendono a migliaia sulle pendici delle montagne nere fanno sembrare Quito un enorme presepe. Iniziando a parlare del piu' e del meno, finiamo per fare cio' che piu' ci piace (oltre a sciare): risolvere i problemi del pianeta. Ci concentriamo soprattutto sul medioriente, ma non tralasciamo l'Afghanistan, l'Asia Centrale, la "global war on terror" e la crisi economica. E' due anni che facciamo le stesse analisi, ma ci sembrano sempre nuove e originali. Se qualche potente della terra fosse interesato faccia un colpo: soluzioni chiavi in mano e per di piu' completamente gratis.
Vicino a Quito sono stato alla meta' del mondo. In un complesso disneyano (versione ecuadoriana) ho fatto la foto di rito con il cartello che indica la latitudine 0ª0'0''. Sono passato dall'estate all'inverno con un saltello, ma non ho potuto vedere se l'acqua scarica in sensi opposti al di qua e al di la' dell'ecuatore (non c'erano due bagni cosi' vicini). Come altri punti geografici "da record" in cui sono stato (Cabo de Roca in Portogallo, Capo Nord in Norvegia, la linea di zero metri sulla strada tra Gerusalemme e Gerico) anche qui sento che manca qualcosa e mi viene in mente Kavafis: "Itaca t'ha donato il bel viaggio. Senza di lei non ti mettevi in via. Nulla ha da darti più." (http://www.akkuaria.net/kavafis.htm)
Il giorno seguente faccio il turista cittadino, camminando con il passo lento e distratto di chi non ha meta. Il centro coloniale di Quito e' uno dei piu' belli dell'America del sud: plazzi, chiese, piazze, negozi, piccoli ristoranti popolari (pranzo completo un dollaro e mezzo), lustrascarpe, venditori ambulanti, indigeni in abiti tradizionli che passano trasportando carichi sulla schiena, impiegati di banca o di qualche ministero in giacca e cravatta. Nel centro di Quito si puo' rimanere tutta la giornata ad origliare le conversazioni della gente seduta sulle panchine di fronte al palazzo presidenziale, mangiando un gelato.
Dovevo concludere in bellezza la giornata salendo sul TeleferiQo, l'ovovia che dalla citta' sale a 4100 metri. Senza aver fatto un passo mi ritrovo molto piu' in alto della Marmolada e dopo un'oretta di cammino sono poco piu' in basso del Monte Bianco. La vista non ha eguali: la citta' in basso tagliata dalla linea dritta della pista dell'aeroporto su cui atterrano minuscoli aerei che sembrano modellini.
Mariscal Sucre

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