giovedì 22 luglio 2010

Galapagos 2

Giorno 4
Nuotare in questo oceano e' come immergersi in una vasca da bagno piena d'acqua gelida. La muta aiuta un po', ma dopo qualche minuto il freddo inizia a pungere come punte di spillo. Lo snorkeling vicino all'isola di Santa Maria (chiamata cosi' in onore della caravella) e' fantastico: razze, squali, pesci enormi, stelle marine di tutti i colori: gialle, blu, marroni, nere.
Nel pomeriggio ci spostiamo verso un'altra isola, dove gli occupanti della barca smettono i vestiti da pavidi civili e indossano i panni di veri guerrieri.
In un campo da calcetto mezzo di terra e mezzo di sabbia va in scena una lotta fratricida tra la squadra dei passeggeri svizzeri e quella dell'equipaggio della barca, in cui vengo arruolato d'ufficio, probabilmente perche' sono l'unico con cui possono comunicare. I numeri non si equivalgono (noi siamo in 6 e loro in 8), ma in compenso nella squadra avversaria c'e' un architetto settantenne, un cinquantenne manager della Bayer, nonche' i suoi figli di 10 e 14 anni. Mi rendo subito conto che nella mia squadra, gia' rodata da centinaia di crociere, ci sono delle gerarchie precise e sedimentate nel tempo, immutabili. I proletari dell'equipaggio giocano in difesa, che e' composta da tre marinai cosi' atletici che se avessero dei denti piu' lunghi potrebbero essere scambiati per dei trichechi. La loro mobilita' quasi inesistente e' parzialmente compensata dalla massa che riescono ad interporre tra la porta e il pallone. In cima alla piramide sociale della squadra ci sono i due attaccanti: il capitano della nave (guarda caso) e la guida dall'ego ipertrofico. A me viene dato il facile compito di coprire da solo tutto il centrocampo, in un ruolo alla Gattuso + Pirlo poco adatto ai miei fragili polmoni e ai miei due piedi sinistri.
Pensavo che, viste le eta' e le stazze, si sarebbe giocato tranquillamente. Mi sbagliavo. Fin dal primo minuto si capisce che sara' una lotta feroce e senza scampo. Il primo a farne le spese e' l'architetto svizzero sui cui si abbattono inclementi i calci della guida. I due bambini vengono asfaltati senza pieta' dai trichechi, mentre il padre si vendica entrando a gamba tesa sulle caviglie di uno dei nostri attaccanti che cade a terra rotolandosi come se ci fossero le telecamere. Senza neanche aspettare che si rialzi, la palla viene rimessa in gioco e scalciata da vari giocatori che cadono uno dopo l'altro nella sabbia. I passaggi sono strettamente proibiti ed il gioco consiste nel guadagnare piu' terreno possibile a forza di spintoni finche' qualcuno non la butta dentro. In questo modo passiamo fortunosamente in vantaggio.
Equipaggi di altre navi arrivano (deve essere l'unico campo di calcetto del sud delle Galapagos) ma non li lasciamo giocare: vince chi arriva primo (e vivo) a tre. Nonostante la media della nostra squadra sia tecnicamente e fisicamente scarsa (a parte il capitano che ha una certa classe), abbiamo un vantaggio decisivo: le regole le inventa la guida. Scopro cosi' che non esiste il calcio d'angolo, la rimessa laterale e' totalmente arbitraria e soprattutto non esistono i falli. La guida tenta addirittura di convalidare un gol fatto a palla ferma causa rottura di perone, tibia e femore di un avversario, ma un'ondata di proteste senza precedenti gli fa cambiare idea (forse per paura di perdere le mance).
Tocca a me, in un rarissimo attimo di lucidita', rubare un pallone sulla trequarti e, con girata di sinistro spalle alla porta, insaccare alla destra del portiere che dormiva sonni profondi. Purtroppo, per la troppa fatica (e la scarsa collaborazione dell'elite sociale della squadra) non riesco a mantenere il ruolo di Gattuso e perdiamo per 3 a 2.
Dopo un visita ad una grotta sotterranea creata da una colata lavica, la comitiva si rimette le scarpe da gioco, ma io li lascio per andare a patire il freddo in acqua. Da solo nuoto accanto agli scogli finche' incontro una tartaruga marina che sta mangando delle alghe. Non sembro darle troppo fastidio e rimaniamo cosi' un po' di tempo: lei a mangiare e io a guardare. E' cosi' vicina che potrei toccarla e quando risale per prendere aria devo spostarmi per lasciarla passare.
Devo rimanere li' ipnotozzato per un po' visto che vengono a cercarmi in gommone per riportarmi alla barca mezzo assiderato.
Giorno 5
Oggi, nel centro Charles Darwin, ho incontrato l'animale piu' solo al mondo. In un recinto con piscina, con tanto di pagoda di legno da cui frotte di turisti scattano fotografie a raffica, vive Solitario Jorge. Scoperto nel 1971 sull'isola di Pinta, per quarant'anni biologi di ogni dove hanno cercato una possibile moglie, senza successo. Solitario Jorge e' l'ultimo della sua specie. Gli hanno messo a disposizione due femmine di una specie simile che ha disdegnato per molto tempo, per poi cedere alle insistenti proposte voyeristiche dei biologi, cimentandosi in sei ore di relazione sessuale infruttuosa (le uova non sono fecondate).
Penso che Solitario Jorge l'abbia fatto apposta, rifiutando la riproduzione come un'illusione d'immortalita' oppure pensando che i suoi geni non sono in fondo ne' migliori ne' peggiori di tanti altri.
Non molto lontano dalla villa con piscina di Solitario Jorge vivono nella natura delle sorelle e fratelli meno famosi ma forse piu' fortunati. In mezzo ad un pascolo in cui brucano decine di mucche, varie tartarghe giganti (1 metro e mezzo di lunghezza, 150 Kg di peso) le accompagnano seminascoste tra l'erba alta. Una ha paura di me e si rintana nel suo carapace sfiatando come un maestro di yoga. Un'altra non sembra accorgersi di avere visite, mentre una terza si incammina lentamente (ci mancherebbe altro) sotto il filo spinato che divide un pascolo dall'altro. La piu' piccola va a farsi un bagno in uno stagno per togliersi un po' di parassiti. Tutte quante hanno almeno il doppio dei miei anni e vivranno piu' del doppio o il triplo di me.
A Santa Cruz sbarcano tutti i passeggeri tranne me, che continuo per altri tre giorni. Vengono imbarcati una coppia australiana con surf al seguito (lui la versione naif di Big Jim, lei Miss Mondo), un tuttologo biologo americano che e' stato alle Galapagos 7 volte, ma questa volta ci ha portato anche la moglie adorante, nonche' Stan, un americano claudicante che ha lavorato per 35 anni per una istituzione statale che produce cartelli stradali e che da quando e' in pensione passa l'estate in America Latina.
...to be continued...

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