Sembra una legge universale che piu' un posto e' caldo piu' e' incasinato. La costa dell'Ecuador, soprattutto se comparata con la zona delle montagne, conferma lo stereotipo. Salire sul bus alla stazione di Guayaquil e' un assalto alla diligenza dove i piu' deboli soccombono ai piu' forti. L'aiuto autista urla ai passeggeri di salire mentre il bus e' gia' in movimento "dele dele adelante papito!".
Per ottenere qualche attimo di pace da merenguite cronica mi metto ad ascoltare la mia musica. Visto che il lettore mp3 funziona male e non posso scegliere le canzoni, ascolto "Amore che vieni, amore che vai" cantanta da Battiato. Solo le Quattro Stagioni di Vivaldi avrebbero creato maggiore contrasto con il vento caldo che entra agitando le tendine luride, le grida dei venditori ambulanti che salgono e scendono dal bus, le pistolettate sparate a tutto volume del film tailandese di serie Z che tiene tutti gli occhi incollati ed il cellulare della mia vicina cicciona che suona in continuazione e la costringe ogni volta a delle incredibili acrobazie per toglierlo dalla tasca dei jeans attillatissimi, il che implica inserire il suo gomito nel mio costato ad ogni drin.
Puerto Lopez e' un paesotto brutto e costruito male vicino ad un mare grigio e senza sole. Case dal cui tetto spuntano tondini di ferro (non si sa mai magari costruiamo un altro piano), strade piene di fango, immondizia. Anche la stanza d'albergo e' squallida, con una collezione di capelli di ogni lunghezza e colore a decorare il pavimento e la doccia. Si stenta a credere che Puerto Lopez sia la seconda destinazione di turismo marino dell'Ecuador dopo le Galapagos. Per scoprirlo bisogna avere un po' di pazienza.
Otto di mattina, cielo plumbeo, leggera pioggerellina. Wiston, ex pescatore riciclato nel turismo, sta facendo improbabili preparativi in un posto che e' per meta' agenzia turistica e per meta' casa, asilo, ristoro e luogo di passaggio e cazzeggio per amici e parenti. Alle nove siamo su una barca che solca onde piu' grandi di lei. Si sale e si scende, con secchiate d'acqua che ci arrivano in faccia. Non fa caldo. Inizio a pensare di aver commesso un gigantesco errore a non affidarmi ad un'agenzia ufficiale. "Bisogna aver pazienza" ci dicono due ragazzini che si definiscono rispettivamente "el capitan" e "el marinero". Avranno trent'anni in due ed il fatto che la costa non sia piu' a vista d'occhio non mi rassicura per niente. A parte un giubbotto di salvataggio che si chiude male non vedo in giro altra attrezzatura di sicurezza. Il marinaio sta a prua scrutando l'orizzonte. Ogni tanto fa un movimento con un dito che fa accellerare, rallentare o cambiare di direzione al capitano. Passano i munuti. Niente. Solo acqua, acqua e neanche una goccia da bere. Gli uccelli attorno a noi si tuffano per fare colazione.
All'improvviso il marinaio urla "delfines!" e decine di sagome nere si avvicinano alla barca affiorando dall'acqua. Le girano attorno, sotto, tornano indietro, si fanno fotografare. Uno un po' piu' lontano esce completamente dall'acqua varie volte, come un bambino che vuole fare vedere ai genitori quanto e' bravo.
Dopo un po' continuiamo finche' vediamo degli sbuffi d'acqua. Sono tutt'intorno. Seguiamo gli sbuffi e vediamo dei grossi corpi uscire d'improvviso dal mare. Saltano. Ci avviciniamo. L'acqua si fa piu' scura. La schiena sale in superficie, si vede la pinna dorsale, la schiena si solleva: e' Moby Dick! Il dorso della balena rientra i acqua. Prima di scomparire nel mare scuro ci fa vedere la coda. Si porta nel suo ventre Pinocchio e Giona e chissa' chi altro ancora. Se ne va senza salutare. Ne incontreremo altre, sono decine le balene venute qui a riprodursi di fronte agli occhi voyeristici di turisti fotomuniti.
Ahab
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