venerdì 4 giugno 2010

Nicaragua - Costa Rica

Ha albeggiato da poco ed il sole risplende sull'acqua turchese del mare. La spiaggia e' piu' bianca del solito e non c'e' nessuno in giro. Andarsene dall'isola diventa ancora piu' difficile del previsto e mi chiedo se non devo rimandare la partenza un'altra volta come avevo fatto due giorni prima. Resisto alla tentazione dell'oblio e - zaino in spalla - mi muovo verso il molo per prendere la panga delle sette di mattina. Il cielo e' terso, ma in compenso il mare e' molto mosso e la panga fa fatica ad ormeggiare. Il conducente cerca di manovrarla mentre due uomini tirano delle corde per avvicinarla. Inizia a fare un movimento a pendolo e quando si avvicina abbastanza la gente ci salta dentro. Visto che quasi tutti i passeggeri sono donne sopra i cinquantanni e gli ottanta chili, mi metto a prua e ne tiro dentro un po', prima che la barca si allontani troppo.
Come all'andata, su richiesta di una ragazza vestita a festa che non vuole bagnarsi, viene tirato il telo di nylon sulle nostre teste. La panga prende un po' di velocita' ma le onde sono troppo alte e il viaggio diventa un alternarsi di accelerate e decelerate. La sequenza e' la seguente:
- Prima arriva una secchiata di acqua in faccia
- Poi la barca fa un tonfo cadendo dalla cresta di un'onda verso il basso
- Dopo una frazione di secondo un'altra secchiata d'acqua molto piu' potente si abbatte sulle nostre teste, scendendo sul nylon verso l'ultima fila dove sono seduto io. Per me e' divertente, mentre per la mia vicina vestita a festa non tanto.
All'arrivo al molo dell'isola grande siamo tutti intirizziti, alcuni con un principio di nausea. Mi fiondo in aeroporto per vedere se riesco a prendere il volo che parte tra mezz'ora, pur essendomi registrato per il volo seguente. La donna al check in mi fa aspettare un po', fa una telefonata, poi mi annuncia che c'e' un posto. Evviva.
L'aereo sorvola il blu della costa atlantica, il marrone dell'estuario del Rio Escondido che ho percorso in panga all'andata, il verde della foresta, con il verde piu' chiaro dei campi e dei pascoli, poi il lago Cocibolca, un vulcano e le strade squadrate di Managua.
Il taxi che mi porta alla stazione della compagnia di bus Tica fa il pieno di passeggeri e invece di metterci 20 minuti, ce ne mette il triplo, con il risultato che salgo sul bus Managua-San Jose de Costa Rica un minuto prima della partenza, senza poter mangiare ne' bere, incazzato come una iena. Mi aspettano sette ore di viaggio che diventeranno nove.
Rifaccio all'incontrario la strada fatta nelle settimane prima. Rivedo Masaya, Granada, l'isola Ometepe con i suoi due vulcani gemelli. Il paesaggio scorre sotto i miei occhi con la colonna sonora del mio lettore mp3: Ben Harper, Cheb Mami, Fossati, Louise Attaque.
Se tutte le frontiere hanno qualcosa di violento o innaturale, quella tra Nicaragua e Costa Rica e' in aggiunta brutta, caotica, polverosa e insopportabile. Si inizia con un'attesa di mezz'ora sul lato nicaraguanse, dove un cambiavalute multimilionario (e superonesto come tutti i cambiavalute) trasforma le mie Cordobas in Colones ad un tasso super conveniente (per lui). Il passaggio alla parte del Costa Rica ricorda un po' le frontiere della guerra fredda: quelli che non viaggiano in bus devono camminare per quasi un chilometro con i bagagli. Poi ci sono delle file interminabili al controllo passaporti. A noi ci fanno togliere i bagagli dal bus per ispezioanrli in modo sommario. Infine il bus passa per una specie di doccia purificante il cui scopo mi resta ignoto.
La ragione di tante stranezze e' molteplice. Da un lato il Nicaragua ha ancora il dente avvelenato con il Costa Rica per aver ospitato - suo malgrado - le milizie Contras e la CIA durante gli anni 80 poco lontano dal confine. C'e' poi la storia presente. Il Costa Rica e' il paese piu' ricco dell'America Centrale, il Nicaragua uno dei piu' poveri, il che vuol dire solo una cosa: immigrazione di massa e immigrazione clandestina.
Il viaggio verso San Jose procede in una specie di limbo. La tranquillita' e il silenzio dell'isola sono ormai solo un ricordo. Il presente e' fatto di sobbalzi, frenate ed accellerate, nonche' di un arrivo alle nove di sera a San Jose', con il solito, stronzissimo, bastardissimo tassista facciadimerda che se ne approfitta facendomi pagare quattro volte il prezzo reale, facendo un giro largissimo per portarmi casa della mia amica Marine. Medito vendette eterne contro i tassissti del mondo.
Terminator

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